Marco Accetti ha fornito indicazioni puntuali sullo svolgersi degli eventi connessi alle sparizioni di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi, inserendovi persino l’omicidio del piccolo José Garramon e della giovane Katty Skerl. Ne scaturisce un intreccio narrativo ostinatamente plausibile, volto a delineare i presunti moventi dei rapimenti e l’organizzazione che ne avrebbe orchestrato l’attuazione. Accetti costruisce infatti una trama che viene etichettata come “pista internazionale”, incentrata sull’obiettivo di ottenere la liberazione di Alì Agca e, per riflesso, di salvaguardare il fragile equilibrio della Guerra fredda, sollevando al contempo l’Unione Sovietica e i cosiddetti “bulgari” da ogni coinvolgimento nell’attentato al Papa.
Si tratta di una pista che, pur apparendo credibile, risponde solo parzialmente agli interrogativi che nel tempo si sono stratificati intorno al caso. È evidente, anzitutto, che la liberazione di Agca fosse impraticabile; secondo Accetti, tuttavia, tale obiettivo rappresentava un mero depistaggio. Da un lato, infatti, l’opinione pubblica veniva indotta a credere che il movente non fosse di natura sessuale, mentre si incoraggiava la ritrattazione (poi effettivamente avvenuta) di Agca rispetto al coinvolgimento dei bulgari. Dall’altro, l’assenza di prove concrete sull’esistenza in vita delle ragazze apriva la strada all’ipotesi di un movente sessuale, mai però corroborato da fotografie o richieste esplicite. Da ciò si deduce che entrambe le spiegazioni risultano inconsistenti.
È in questa ambiguità che si colloca il giudizio diffuso su Accetti: un personaggio bollato come “mitomane” e “inconcludente” ma comunque da non sottovalutare. Se da un lato il suo ruolo – ormai acclamato - di telefonista lo rende ormai parte integrante della vicenda, dall’altro egli non è stato in grado di fornire elementi probatori né sulla sorte effettiva delle ragazze, né sugli attori che realmente agirono dietro le quinte.
Supporre il coinvolgimento di un ristretto gruppo di faccendieri gravitanti attorno al mondo del cinema — persino nelle ipotesi più estreme, che vanno dalla produzione di pellicole pornografiche fino ai presunti film snuff — risulta plausibile soltanto se si prescinde dal rapimento di Emanuela Orlandi. In quest’ultimo caso, infatti, emergono figure di ben altra statura, direttamente riconducibili sia agli ambienti vaticani sia alla Banda della Magliana, come testimoniato da diverse fonti. Tra queste spiccano Sabrina Minardi e Salvatore Sarnataro, padre di Marco, che dichiarò di aver preso parte personalmente ai pedinamenti della giovane Emanuela. È proprio qui che la narrazione di Accetti perde consistenza: nell’ostinata volontà di saldare casi eterogenei sotto un unico disegno, o addirittura di ipotizzare la consegna delle vittime a medesimi destinatari che, in realtà, sembrano appartenere a fazioni differenti e inconciliabili.
Mentre il rapimento di Mirella Gregori sembra inscriversi in dinamiche differenti, quello di Emanuela Orlandi appare come un’operazione concepita — e verosimilmente condotta — da ambienti interni al Vaticano, con l’ausilio di organizzazioni criminali e servizi deviati, animati da finalità del tutto diverse. Nel caso di Emanuela, infatti, si configurò un vero e proprio ricatto economico: l’obiettivo era ottenere ingenti somme di denaro e piegare lo Stato vaticano, costringendolo a cedere di fronte a pressioni mediatiche e a ulteriori minacce qualora non avesse prestato collaborazione. Non va dimenticato, inoltre, che lo stesso Giovanni Paolo II avallò la cosiddetta “pista internazionale”, contribuendo così a orientare l’attenzione pubblica verso scenari esterni e lasciando che le indagini locali — più concrete e plausibili — venissero progressivamente relegate in secondo piano.
Mirella fu evocata soltanto in un secondo momento: verosimilmente già caduta vittima di quella macchina infernale legata al cinema e a forme di intrattenimento clandestino, venne strumentalizzata per creare un legame artificioso con la vicenda di Emanuela. Un’operazione semplice, conveniente, e per la quale era già stato predisposto ogni dettaglio e c’era già una ragazza da immolare e collegare al caso Orlandi.
È altamente plausibile che siano state riutilizzate le stesse manovalanze addestrate all’adescamento, quindi il mondo di Accetti e del cinema, impiegate anche per Emanuela: quelle stesse figure che, nel 1983, risucchiarono nell’ombra diverse giovani romane, Mirella compresa.
La messa in scena della liberazione di Ali Agca non fu che l’ennesimo capitolo di una sequenza di eventi avviatisi nel 1981 attorno allo IOR di Marcinkus e a Roberto Calvi. Quel frangente rappresentò l’occasione propizia per consentire alle organizzazioni criminali di tentare di recuperare le ingenti somme volatilizzatesi a causa delle dissennate operazioni del Banco Ambrosiano, legato indissolubilmente a Michele Sindona e, per suo tramite, alla loggia massonica P2.
Resta da chiedersi se il solo rapimento di una cittadina vaticana fosse stato sufficiente a costringere, obtorto collo, la Città Leonina a una resa, parziale ma nondimeno utile a recuperare il recuperabile. I fatti, tuttavia, sembrano suggerire di sì. Con Emanuela si andavano a sfiorare direttamente prelati che avevano molto da celare, e non si trattava certo di oscuri sacerdoti di provincia.
La figura di don Vergani e quella del cardinale Ugo Poletti, nell’autorizzare la sepoltura di Enrico De Pedis in Sant’Apollinare, rivelano plasticamente l’intreccio tra la mala romana e taluni esponenti di primo piano della Curia vaticana. A ciò si aggiungano i nomi del cardinale Macchi, di monsignor De Bonis e di Giovanni Battista Re: tasselli di un mosaico che rende evidente la contiguità tra mondi che, almeno in apparenza, avrebbero dovuto restare inconciliabili.
Fu così, almeno in questa vicenda, che il Vaticano tacque per sempre, consegnando al mondo l’immagine di un santo che non esitò a sacrificare una ragazzina in nome di interessi che egli stesso ritenne più alti: il denaro, la politica e il potere.
E Marco Accetti, il telefonista?
Mitomane non lo è affatto. Fu parte di un gioco perverso, prima e durante il rapimento di Emanuela. In un primo momento era ingranaggio della macchina degli adescamenti al servizio di un mondo torbido fatto di imprenditori, forse di politici e persino di uomini di Curia, alla ricerca di sesso “facile”: su commissione, o da consumare come spettacolo nelle feste private.
Successivamente seguì l’adescamento di Emanuela, ma questa volta all’interno di un gruppo ben più organizzato: non soltanto ragazzine adescate e pedofili complici, bensì l’Italia del male, quella delle stragi, della Banda della Magliana, della mafia e della ’ndrangheta.
Accetti fu soltanto un ingranaggio di un meccanismo immensamente più grande, poiché, se davvero avesse avuto il controllo, non sarebbe stato arrestato nel dicembre 1983. Quell’arresto fu forse il risultato di un incidente, o di un tentato omicidio nei suoi confronti finito male.
A pagarne tragicamente il prezzo, con la vita, fu invece il piccolo José.


