Se qualcuno in Italia pensava che bastasse un colpo di bacchetta magica burocratica per trasformare un ponte da 13,5 miliardi di euro in un “bene militare”, Matthew Whitaker, ambasciatore Usa presso la Nato, ha appena smontato l'idea con la delicatezza di un martello pneumatico. Gli Stati Uniti non ci stanno: la spesa per la difesa va presa sul serio e non si presta a contabilità creativa: scuole e ponti non diventano carri armati perché a qualcuno conviene farli entrare nei numeri della Nato, ha dichiarato.
Il governo italiano, o meglio alcuni suoi rappresentanti, hanno sognato di far rientrare il ponte sullo Stretto di Messina nella spesa militare necessaria per raggiungere il famigerato 5% del Pil imposto da Trump e approvato al vertice dell'Aia. In che modo? La Sicilia ospita basi militari e quindi il collegamento fisico con la terraferma sarebbe "strategico". Tradotto: se ci mettiamo un po' di fantasia, anche un viadotto può diventare spesa per la difesa.
Insieme ad altri membri dell'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord, l'Italia si è impegnata ad aumentare la spesa per la difesa al 5% del Pil, soddisfacendo una richiesta del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in occasione del vertice di giugno all'Aia. L'idea che un progetto da 13,5 miliardi di euro (15,7 miliardi di dollari) che collega la Sicilia alla terraferma possa essere finanziato classificandolo come relativo alla difesa ha attirato l'attenzione.
Ma gli Stati Uniti, artefici della finanza creativa, in questo caso di finanza creativa non vogliono sentir parlare. Whitaker è stato chiaro: la Nato vuole soldi veri per difendere l'Europa, non un ponte che fa comodo per la mobilità civile. E anche Bloomberg evidenzia: vogliono vedere battaglioni, artiglieria, carri armati, non opere faraoniche progettate per mostrare ambizioni politiche più che capacità militari.
Il governo italiano si è limitato a dire che il ponte è già finanziato e che non si prevedono fondi Nato. Questa la nota del ministero dei Trasporti:
"Il Ponte sullo Stretto è già interamente finanziato con risorse statali e non sono previsti fondi destinati alla Difesa. Al momento, l'eventuale utilizzo di risorse Nato non è all'ordine del giorno e - soprattutto - non è una necessità irrinunciabile. L'opera non è in discussione".
Ma è lo stesso Matteo Salvini che aveva lasciato aperta l'idea di un "doppio uso" del ponte – una definizione così elastica da poter far rientrare persino il pupazzo di un presepe in uno schema difensivo. Ma a quanto pare, il governo Meloni non potrà ricorrere a tali tattiche.
In sintesi, l'Italia si trova di fronte a un'evidenza elementare: non basta mettere i soldi su un ponte e chiamarlo difesa. La Nato sorveglia, gli Usa fanno rispettare le regole e il 5% del Pil non è una cifra flessibile da piegare alla creatività politica. La prossima volta, prima di sognare ponti militari, meglio controllare che i numeri siano davvero in linea con i requisiti. Altrimenti, la bacchettata americana arriva netta e senza sconti.


