Di fronte alla vicenda del corso di filosofia per gli allievi ufficiali, Giorgia Meloni è riuscita a trasformare una normale decisione accademica in un caso nazionale, con toni da crociata ideologica. Un'esagerazione che non stupisce più nessuno: ogni occasione è buona per brandire la Costituzione come arma retorica pur continuando a deformarne lo spirito.

La presidente del Consiglio ha definito "incomprensibile", "gravemente sbagliata" e perfino "lesiva dei doveri costituzionali" la scelta del Dipartimento di Filosofia dell'Università di Bologna. Un'accusa sproporzionata, quasi surreale, che la dice lunga non sull'università, ma sull'ossessione del governo nel piegare ogni istituzione a una narrativa di obbedienza.

Il punto è semplice: l'ateneo non ha negato nulla a nessuno. Bologna ha ricordato che chiunque possieda i requisiti può iscriversi liberamente ai corsi, militari compresi. Non c'è discriminazione, non c'è veto, non c'è sgarbo alle Forze Armate. C'è solo un rifiuto, legittimo, di organizzare un corso "riservato", cioè modellato su misura per un corpo militare su richiesta politica e con modalità che nulla hanno a che fare con l'autonomia universitaria.

Eppure Meloni, come suo solito, ha alzato i toni fino a trasformare una assurdità ideologica in un presunto attacco alla patria. Ha parlato di "pregiudizi", di "messa in discussione del ruolo stesso delle Forze Armate", come se Bologna avesse improvvisamente deciso di boicottare la Repubblica. L'ennesimo teatrino in cui si confonde volutamente la critica con il tradimento.

A rincarare la dose è arrivata la ministra Bernini, pronta a "garantire" che il corso si farà, lanciandosi persino nella creazione di un misterioso "gruppo interforze" universitario. Il messaggio è chiaro: l'autonomia vale solo quando non intralcia gli obiettivi politici del governo. In caso contrario, si mette pressione, ci si impone, si sventola - e sempre a sproposito - la Costituzione come clava.

Intanto l'Università di Bologna ha risposto con calma e fatti: la collaborazione con l'Accademia militare di Modena già esiste da vent'anni, con posti dedicati in Medicina Veterinaria. Nessun muro, nessun ostracismo. Solo rispetto delle regole e delle competenze.

Forse è proprio questo che manda in crisi l'esecutivo: un'istituzione che non si allinea automaticamente, che non si lascia manipolare nella solita narrativa "noi patrioti contro gli élitari". Una storia che non funziona quando la realtà è più semplice della propaganda.

La verità? Meloni non sta difendendo la cultura, né l'università, né le Forze Armate. Sta difendendo la sua esigenza di controllo e di visibilità, trasformando un dettaglio accademico in uno scontro istituzionale che esiste solo nella sua testa e nei suoi comunicati.

E se c'è qualcosa di davvero "incomprensibile" in questa vicenda, non è certo il comportamento dell'Alma Mater. È l'incapacità del governo di accettare che l'università non sia un'appendice del potere politico. E che la Costituzione, quella vera, non è un oggetto ornamentale da agitare quando fa comodo.

 
"Sono costretto a tornare sul tema dell'università di Bologna e della assurda pretesa dei militari di avere corsi universitari esclusivi per gli ufficiali - ha commentato Nicola Fratoianni (AVS) -, perché ho letto che Meloni è intervenuta a difendere l'esercito, e quindi a difendere l'indifendibile.Ma d'altra parte farebbe qualunque cosa pur di non parlare dei tanti problemi del paese a cui non dà risposte.Meloni fa l'ennesima polemica assurda e attacca l'università di Bologna, dichiarando per altro il falso, perché l'Università non ha negato alcun corso di laurea ai militari, ha semplicemente proposto loro di iscriversi ai corsi cui si iscrivono tutti gli altri studenti e studentesse. Una cosa normale e di buon senso.E allora consiglio a Meloni di smetterla di dedicarsi a questa propaganda dozzinale e di occuparsi dei problemi dell'università.Ad esempio potrebbe partire dal trovare le risorse per evitare che 30mila ricercatori precari perdano il lavoro a causa dei soldi non stanziati dal suo governo.Di questo deve occuparsi la presidente del consiglio, non di litigare sui social".