Dopo la voragine fiscale del Superbonus e dopo la voragine previdenziale del Reddito di cittadinanza è in arrivo anche la voragine sanitaria delle Case di comunità? Forse.
Quel che è certo è che, dopo il mostruoso scandalo sanitario romano scoperto pochi giorni fa, con centinaia di sanitari coinvolti, sulla pelle dei dializzati e dei contribuenti, e con strutture amministrative e direttive che si ritrovano in un modo o nell'altro sotto indagine, si conferma un quadro impietoso di un paese che, nonostante le risorse stanziate e le ambiziose strategie di riforma, si trova ancora molto lontano dall’obiettivo di garantire servizi territoriali efficienti, capillari e di qualità.
Uno dei simboli più evidenti del fallimento di questa fase di riforma sanitaria sono le Case della Comunità, strutture pensate come pilastri dell’assistenza territoriale.
Il piano originale del governo Conte prevedeva quasi il doppio di queste strutture rispetto all’attuale obiettivo: 2.564 contro le circa 1.038 strutture che si mira a realizzare oggi.
Una vera e propria chimera.
Da un lato, la diffusa incapacità delle ASL e degli Ospedali nel comunicare ad Agenas persino dati banali, come gli organigrammi e le prestazioni offerte, che ha causato ritardi su ritardi.
Dall'altro lato, la nota carenza di personale sanitario qualificato, mentre le Case di Comunità avrebbero l'ambizione di garantire una presenza medica continua e un’assistenza infermieristica costante, ma molte regioni non riescono nemmeno a raggiungere questi standard minimi.
La realtà dei fatti è che, ad oggi, sono state aperte appena 660 Case di Comunità su 1723 previste e circa 1.038 programmate, delle quali le Centrali operative territoriali dovranno essere almeno 480, gli Ospedali di Comunità almeno 307, gli interventi di antisismica almeno 84.
Ebbene, la Lombardia, che si distingue come regione più attiva, ha attivato solo 12 Case di Comunità con personale completo su 204 programmate, mentre altre regioni come Abruzzo, Basilicata e Calabria sono ancora ferme a zero. (Fonte: Sole24ore - 30 settembre 2025)
Le poche strutture attive spesso non dispongono dei servizi essenziali: solo 46 strutture forniscono tutti i servizi previsti per legge, e in molte manca la presenza stabile di medici e infermieri, con un impatto diretto sulla qualità dell’assistenza e sulla riduzione delle code nei pronto soccorso.
La distribuzione geografica è ancora più drammatica: al Sud, regione storicamente deficitaria in termini di servizi sanitari, sono attive solo 41 strutture, e nessuna in alcune regioni come Abruzzo, Basilicata e Campania.
Sul fronte tecnologico, solo in questi giorni la Consip ha avviato una gara strategica per dotare le nuove strutture di circa 28.600 dispositivi medici, con l’obiettivo di potenziare la diagnostica e migliorare l’assistenza.
Intanto, il ritardo nelle assunzioni, aggravato dalla mancata riforma dei medici di famiglia e da procedure burocratiche lente, impedisce di fatto la piena operatività di queste strutture.
La conseguenza è un sistema ancora incapace di offrire servizi fondamentali come prelievi, vaccinazioni, assistenza domiciliare e prenotazioni, riducendo così l’efficacia della rete territoriale e perpetuando la dipendenza dal sistema ospedaliero.
Purtroppo, c'è un altro problema, altrettanto serio.
Quale struttura prende in carico il follow up dopo che la Casa di Comunità ha emesso la diagnosi, specialmente se si tratta di patologie complesse, metaboliche o multiorgano?
Dal bando Consip, apprendiamo che le Case di Comunità saranno dotate degli strumenti pensati per rispondere alle necessità cliniche più frequenti e garantire diagnosi rapide in ambiti come cardiologia, oculistica, pneumologia, diabetologia e dermatologia.
Ad esempio, una Casa di Comunità, oltre a diagnosticarla, si prenderà anche cura della Sindrome Metabolica che colpisce circa il 20% della popolazione generale (fino al 40% tra gli anziani) e combina ipertensione, eccesso di grasso corporeo (obesità), insulino-resistenza e alti livelli di zuccheri nel sangue, aumentando il rischio cardiovascolare e diabetico?
Le Case di Comunità diventano l'hub per circa 4 milioni di persone con diabete diagnosticato, pari al 6,6% della popolazione nel 2022, con picchi oltre il 20% negli over 75 e maggiore incidenza al Sud?
Più in generale, le Case di Comunità andranno a sopperire anche ai servizi per le Malattie Rare, che sono rare, ma sono anche tante (oltre 7.000 tipi) e nel complesso colpiscono 2 milioni di italiani, di cui circa il 70% è in età pediatrica, a riprova della bassa aspettativa di vita e della gravità dei casi da seguire?
In effetti, si tratta di persone che - secondo norma - dovrebbero fare capo a Centri specializzati, quelli che da anni dovevano definire a livello regionale almeno i Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali, di cui ormai si è persa ogni speranza al punto che neanche le associazioni dei malati li richiedono, anche se sono indispensabili per attivare i servizi territoriali, dal MMG alle CdC?
D'altra parte, cosa mai dovremmo aspettarci, se il Ministero della Sanità e le ASL usano ancora una classificazione delle patologie del 1975-1993 (ICD-9), che ha il "pregio" di frammentare i sintomi, le complicanze, le diagnosi e le cure delle malattie complesse come fossero tutte patologie distinte l'una dall'altra?
Cosa dovremmo pensare, poi, sapendo che in qualunque scuola di management si insegna che frammentare i servizi significa moltiplicare spese e posti di lavoro?
Quando faremo i conti con un sistema sanitario italiano che si rivela troppo spesso inefficiente, disomogeneo e incapace di rispondere alle esigenze dei cittadini?
I numeri delle Case della Comunità e delle risorse investite sono solo la punta dell’iceberg di un fallimento più profondo, segnato da ritardi, cattiva pianificazione e mancanza di riforme strutturali vere.
Solo con un cambio di passo radicale, che coinvolga riforme organiche, investimenti mirati e una gestione efficiente delle risorse umane e tecnologiche, sarà possibile risollevare le sorti di un sistema sanitario troppo spesso sotto attacco e sottovalutato.

