Il governo sta cercando di chiudere il dodicesimo pacchetto di aiuti del 2025 destinato a Kiev, ma l'iter si è trasformato in un campo minato politico. La delibera, che coinvolge Esteri, Difesa ed Economia, dovrebbe arrivare in settimana. Il Parlamento non deve votare, ma il via libera formale dei ministri tarda ad arrivare. E il motivo è semplice: nella maggioranza è scoppiato l'ennesimo scontro sulla linea da tenere.
Salvini accende la miccia
Matteo Salvini, parlando dal porto di Napoli, ha rilanciato il tema della corruzione in Ucraina. Secondo lui c'è il rischio concreto che parte dei fondi italiani — frutto delle tasse di lavoratori e pensionati — finisca in conti privati, ville all'estero o peggio ancora in un sistema di malaffare vicino a Zelensky. Per il leader della Lega la strada non è aumentare gli aiuti militari, ma far sedere Putin e Zelensky allo stesso tavolo e puntare sul dialogo.
La sua posizione non è nuova, ma stavolta arriva proprio mentre il governo deve firmare il nuovo pacchetto di armi. E questo crea un problema.
La replica netta di Crosetto
Guido Crosetto non ha fatto finta di niente. Da Berlino ha risposto senza diplomazia: non si giudica un Paese per "due corrotti", allo stesso modo in cui gli Alleati non giudicarono l'Italia in base alla mafia quando decisero di aiutarla durante la guerra. Crosetto ha ricordato che il 93% degli attacchi russi colpisce i civili e che l'Italia sta aiutando chi subisce l'aggressione, non chi lucra sugli aiuti. E ha aggiunto che gli eventuali "delinquenti" devono finire in galera.
È un messaggio chiaro: i dubbi di Salvini rischiano di diventare un alibi per bloccare la strategia atlantica del governo.
Tajani prova a smorzare, ma scoppia il caso Copasir
Antonio Tajani ha ribadito che l'Italia "farà la sua parte" e che due corrotti non possono fermare il sostegno a Kiev. Non solo: ha annunciato che il Copasir è già stato informato del pacchetto di aiuti. Peccato che dal Copasir, sede di Palazzo San Macuto, facciano sapere l'esatto contrario: nessuna comunicazione formale è arrivata.
Il clima si appesantisce. Mancano ancora le firme dei ministeri coinvolti, compreso il MEF guidato da Giancarlo Giorgetti, che non è esattamente l'esponente più “atlantista” della Lega. E l'incomprensione si aggiunge a un'altra vicenda: l'annullamento del viaggio di Crosetto negli Stati Uniti per aderire al progetto Purl sulla difesa, scelta contestata proprio dai leghisti. Da Fratelli d'Italia notano l'incoerenza: il progetto è sostenuto da Trump, che Salvini cita spesso come modello.
Il nodo vero però arriverà a gennaio
La tensione di oggi è solo l'antipasto. A gennaio il Parlamento dovrà votare la proroga dell'autorizzazione all'invio di armi all'Ucraina per tutto il 2026. Lì non basteranno le delibere interne: servirà un voto.
Se la Lega decidesse di smarcarsi, per Meloni sarebbe un problema politico pesante. E Salvini sta già preparando il terreno, mettendo sul tavolo i "fatti nuovi" sugli scandali ucraini e chiedendo trasparenza totale sull'uso dei fondi europei.
Opposizioni all'attacco: dalle condanne al sarcasmo
Il quadro esterno non è più semplice:
Pd: Elly Schlein ribadisce il sostegno all'Ucraina; Filippo Sensi attacca Salvini definendo le sue parole “vergognose”.
Azione: Carlo Calenda critica l'Italia per essere tra gli ultimi Paesi a non aver acquistato armi dagli USA.
M5S: Ricciardi parla del "fallimento" delle politiche europee e dell'approccio bellicista di Meloni e von der Leyen.
La guerra in Ucraina si trasforma così in un terreno di scontro interno a entrambi gli schieramenti.
Uno scenario che rischia di esplodere
Meloni sa che il governo ucraino non è immune da scandali; non a caso ricorda che diversi ministri sono stati rimossi negli anni passati. Ma se la Lega decide di trasformare ogni nuova inchiesta in un casus belli politico, l'equilibrio della maggioranza salta.
Il centrodestra oggi naviga tra sospetti, accuse incrociate e silenzi strategici. I ministri di FdI evitano lo scontro frontale con Salvini per non aprire una crisi, ma la frattura è evidente. Il vero banco di prova sarà l'autorizzazione 2026: in assenza di una linea comune, lo scontro interno rischia di diventare una bomba a orologeria.


