Eccone un’altra. Un’altra miccia accesa nel perimetro sempre più stretto e autoreferenziale della politica italiana, dove la ricerca del conflitto prevale costantemente sulla volontà di risolvere i problemi reali dei cittadini. Questa volta il casus belli arriva da un articolo de La Verità, che attribuisce al consigliere del Presidente della Repubblica, Francesco Saverio Garofani, giudizi e scenari politici destinati a “fermare Giorgia Meloni”. Parole - sostiene il quotidiano - carpìte in un contesto informale. Quanto basta per scatenare un terremoto istituzionale.

A gridare allo scandalo è stato il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Galeazzo Bignami, che ha immediatamente chiesto una smentita ufficiale. Il Quirinale ha risposto in poche righe, ma con una nettezza che non si vedeva da tempo: “stupore” per la ricostruzione e per il solo fatto che il partito di maggioranza relativa potesse darle credito, fino al punto - si legge nella nota - di “sconfinare nel ridicolo”.

È bastato questo scambio per oscurare tutto il resto. La legge di Bilancio, le tensioni economiche, le elezioni regionali ormai imminenti: argomenti scomparsi dall’agenda politica, soppiantati da un ping-pong istituzionale che racconta più del clima di nervosismo che delle reali intenzioni dei protagonisti.

Da una parte FdI che, attraverso Bignami e altri big come Fazzolari e Donzelli, insiste nel chiedere chiarimenti e denuncia presunte pressioni sulla stampa “non allineata”. Dall’altra il Quirinale che respinge le insinuazioni, e un fronte delle opposizioni compatto nella difesa del Capo dello Stato. Elly Schlein parla di “guida sicura”, Giuseppe Conte di una “polemica costruita per distrarre” dai dati economici del Paese. Avs, Azione, Pd e M5s chiedono un’informativa urgente alla presidente Meloni, accusando la maggioranza di un “atto intimidatorio” verso il Colle.

Nel mezzo, la premier che resta per ora defilata, mentre il direttore de La Verità, Maurizio Belpietro, rivendica “parola per parola” quanto pubblicato, attaccando la nota del Quirinale come “istituzionalmente scorretta”. La Lega solidarizza con il giornale, Forza Italia fa quadrato attorno al Presidente della Repubblica, e il centrodestra mostra ancora una volta la sua tradizionale eterogeneità.

Ma il punto non è stabilire chi abbia ragione. Il punto è che anche questa vicenda dimostra come la politica italiana viva ormai in uno stato di perenne agitazione, sempre pronta a scambiare ombre per complotti, indiscrezioni per trame, retroscena per emergenze istituzionali. Ogni affermazione, ogni sospetto, ogni riga di un giornale diventa terreno di scontro immediato e assoluto.

È il segno di una fragilità profonda: quella di una classe dirigente incapace di misurarsi con la complessità, che reagisce più ai simboli che ai fatti, e che sembra temere più il giudizio dei propri elettori interni che quello del Paese. Perché mentre i partiti si rincorrono su chi debba smentire cosa, mentre il dibattito pubblico si infiamma attorno a virgolettati non verificati e contro-note istituzionali, gli italiani continuano a fare i conti con inflazione, salari stagnanti, età pensionabile elevata ai massimi della decenza e del decoro, servizi pubblici in difficoltà, territorio in costante dissesto idrogeologico, una crescita azzerata perfino secondo Bruxelles.

È difficile sfuggire alla sensazione che le polemiche di oggi siano il preludio di una campagna elettorale permanente, dove ogni episodio viene brandito come arma e ogni avversario trasformato in nemico. Ma se tutto diventa emergenza, nulla lo è davvero. E intanto i problemi del Paese, quelli veri, restano ai margini. Ancora una volta.