Venti minuti di colloquio non bastano a nascondere un fatto evidente: il rapporto tra Giorgia Meloni e Sergio Mattarella è ai minimi storici. Dietro la nota di rito fatta filtrare da Palazzo Chigi, resta la fotografia di una convivenza istituzionale ormai logorata. L’ultimo caso – quello che coinvolge il consigliere del Quirinale Francesco Saverio Garofani – ha messo nuovamente Palazzo Chigi e Quirinale su fronti opposti.
La “soffiata” anonima e l’articolo fotocopia
La miccia scoppia quando La Verità pubblica un retroscena in cui Garofani viene dipinto come il regista di un presunto piano per impedire a Meloni di vincere le prossime elezioni: un “listone” trasversale, persino con pezzi della destra centrista, e la speranza in un “provvidenziale scossone” prima del voto. Un quadro esplosivo.
Peccato che il cosiddetto scoop nasca da un’e-mail inviata domenica a varie testate di destra, da un indirizzo anonimo e con un testo firmato “Mario Rossi”. Il contenuto è praticamente identico all’articolo poi pubblicato da La Verità, firmato da un cronista inesistente. Un castello di carta insomma, ma sufficiente a scatenare il putiferio.
Paradossalmente, la parte più velenosa delle presunte parole di Garofani non era nemmeno quella su Meloni, ma le critiche feroci rivolte alle opposizioni, giudicate “non adeguate”.
L’attacco di Bignami e la risposta durissima del Quirinale
Il caso sarebbe probabilmente rimasto ai margini se il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Galeazzo Bignami, non avesse deciso di cavalcarlo chiedendo una smentita ufficiale. Una mossa che il Quirinale ha accolto con irritazione rara, parlando apertamente di “stupore” per un attacco fondato su ricostruzioni che “sconfinano nel ridicolo”.
Colto in contropiede, Bignami ha poi fatto marcia indietro sostenendo che la richiesta non era rivolta al Quirinale, ma solo a Garofani: “Non mi sarei mai permesso”, si è giustificato.
Il vertice-lampo per ricucire
Per evitare che l’incendio si allargasse, Meloni ha telefonato a Mattarella chiedendo un incontro urgente. Nel giro di poche ore è stato fissato un faccia a faccia al Quirinale. Al termine, da Palazzo Chigi è arrivata una nota rassicurante che insiste sulla “sintonia istituzionale” mai venuta meno dall’inizio del governo.
Una frase che stride con i molteplici attriti esplosi in questi tre anni: dalla politica estera agli abusi della decretazione d’urgenza, dai rapporti con Elon Musk al revisionismo storico su Ventotene, fino alle tensioni su ordine pubblico e carceri. La lista è lunga, e tutti lo sanno.
La difesa di Bignami e il nuovo affondo su Garofani
Nella versione di Palazzo Chigi, Meloni avrebbe espresso “rammarico” per le parole “inopportune” attribuite a Garofani e avrebbe ritenuto la richiesta di Bignami un modo per “circostanziare la vicenda, a tutela del Quirinale”. Una lettura che ribalta completamente la dinamica del caso, spostando l’attenzione sul consigliere del Colle.
La voce di Garofani
Garofani ha rotto il silenzio oggi, tramite un articolo del Corriere della Sera. Ha spiegato di essere stato rassicurato da Mattarella e di non riconoscersi nel presunto complotto descritto dai giornali. Ha parlato di “chiacchierata in libertà tra amici”, negando qualunque intento politico e dicendosi sorpreso da quanto ricostruito: “Ho letto e riletto Belpietro senza capire dove sarebbe il complotto”.
Il caso Garofani è solo l’ultimo episodio di un rapporto istituzionale segnato da frizioni continue. Il vertice-lampo serve a evitare una rottura formale, ma non cancella l’evidenza: tra Palazzo Chigi e il Quirinale la distanza politica e personale è ormai profonda, e basta poco a farla riemergere.


