Ieri a Napoli, alla fine della kermesse della destra (post) fascista in vista del voto regionale del 23 e 24 novembre, è andata in scena l'ennesima rappresentazione tragicomica del potere che gioca a fare la claque dei propri tifosi, invece di comportarsi come rappresentanti del governo di un Paese che è considerato tra i Paesi guida del mondo.
Ieri, a Napoli, abbiamo assistito a una goliardata imbarazzante anche per una festa di paese, con ministri in carica, compresa la presidente del Consiglio, saltellare al ritmo del coro "chi non salta comunista è". Una roba da far cadere le braccia, se non fosse che qui a cadere, giorno dopo giorno, è il livello della dignità istituzionale.
La scena è semplice: dalla platea parte il coro, quello da curva dello stadio, quello che riduce la politica a tifo calcistico del peggior tipo. E sul palco — sul palco dove è rappresentato anche il governo — scatta il balletto. Non si capisce se stiano ridendo perché si divertono davvero (e sarebbe già inquietante) o perché non osano fare diversamente, temendo di sembrare tiepidi agli occhi della loro tifoseria. In entrambi i casi è deprimente.
Ma il punto è un altro: quello non era un palco di militanti, né un comizio di partito qualsiasi. Era il palco del governo italiano. C'erano le massime cariche dello Stato, quelle che dovrebbero rappresentare tutti, non solo chi urla slogan da stadio. E invece eccoli lì, a saltare come marionette tirate dai cordoni della base.
La presidente del Consiglio ride, si gode il momento, fa i suoi tre saltelli come una ragazzina galvanizzata. Ci tiene sempre a ribadire che lei, il fascismo, non l'ha vissuto. Ma a giudicare dalla naturalezza con cui si adegua a certe liturgie, viene il dubbio che quel passato sia stato assorbito indirettamente, come un'aria di famiglia rimasta nelle stanze della militanza giovanile. Braccia tese, saluti, folklore nero: materiale vecchio ma mai davvero rottamato.
E poi c'è il ministro degli Esteri. Il rappresentante dell'Italia nel mondo. Colui che dovrebbe incarnare equilibrio, sobrietà, senso delle istituzioni. All'inizio sembra spaesato — e ci caschiamo tutti: ci illudiamo che s'imbarchi, che faccia l'unica cosa sensata, ovvero andarsene da quel teatrino. Invece no. Guarda a destra, guarda a sinistra, incrocia lo sguardo della premier che saltella felice… e cede. Anche lui. Pure lui si mette a saltellare, magari col nodo alla cravatta che gli si muove su e giù come a ricordargli la dignità che sta ammaccando in diretta.
Defilato, incredibile a dirsi, Salvini si gode la scena e invece di prendervi parte se la svigna per non farsi coinvolgere. Lo spettacolo deve esser sembrato incredibile pure ad un maestro del non senso istituzionale come lui.
Il quadro è desolante. Un governo che dovrebbe dare esempio di sobrietà si presta al giochino identitario più infantile e divisivo. Eppure eccoli là, compiaciuti, persino fieri. La politica ridotta a coreografia da stadio, l'istituzione piegata al rito di appartenenza, la storia — quella vera, quella tragica — trattata come un gadget da sventolare per strappare applausi.
C'è chi dirà che è solo una sciocchezza, che non vale la pena indignarsi. Ma quando sul palco ci sono i vertici dello Stato, ogni gesto pesa. E ieri, a Napoli, quel peso è caduto come un macigno sulla dignità delle istituzioni. O quel che ne resta.
Come ha spiegato poi dal proprio account social il partito delle sorelle Meloni, "chi non salta sogna la patrimoniale", argomento toccato anche dalla premier durante il comizio:
"Con la destra al Governo queste ricette tardo-comuniste non passeranno".
Peccato, però, che la patrimoniale di cui ha parlato la CGIL e alcuni partiti dell'opposizione non riguardi chi guadagna 2500 euro al mese, bensì chiunque guadagni milioni e milioni di euro all'anno, quasi sempre tramite la speculazione finanziaria, senza ricadute reali sul mondo del lavoro e sulla società.
Persino Warren Buffett, quando era alla guida del suo fondo d'investimento Berkshire Hathaway, riteneva fosse utile tassare proporzionalmente la ricchezza, sostenendo che fosse iniquo che lui avesse - percentualmente! - la stessa tassazione della sua segretaria. Il motivo? Lo spiegava semplicemente così... che ci faccio con il denaro se ho già tutto? Se ho una casa di 100 stanze dove in ogni stanza vi è già un televisore, pagando meno tasse non comprerò nuovi televisori e non contribuirò a promuovere nuove attività e nuovo lavoro. E infatti è diventato uno degli uomini più ricchi al mondo... tramite la finanza.
Evidentemente, Giorgia Meloni e i ministri del suo governo saltano per difendere gli interessi della finanza, non certo quelli della società... mentendo pertanto ai propri sostenitori.


