Il giornalismo che combatte i sistemi criminali corruttivi e mafiosi è ormai diventato quasi inesistente. Il giornalista libero ed indipendente trova sempre meno spazi per esprimersi poiché il suo cammino è continuamente costellato di ostacoli (querele, richieste risarcimento danni, difficoltà a trovare modi di espressione).
Le nuove mafie oggi hanno messo radici profonde in tutto il settore dei mass media, dai giornali alle televisioni, dalla produzione alla distribuzione di film cinematografici. I dati della DIA indicano che tutti i più importanti gruppi della criminalità italiana – dalla camorra napoletana a Cosa nostra siciliana, alla ’ndrangheta calabrese – investono sistematicamente nei media e nell’informazione.
Quando le grandi organizzazioni criminali sono in grado di influenzare l’informazione è più difficile raccontarle, meno piombo significa meno evidenza sui giornali. In questi ultimi anni si è fatto un gran rumore intorno a fenomeni criminali che si sono proposti sulla scena violentemente ma si è fatto un gran silenzio su quei sistemi mafiosi, legati ai poteri legali e all’area grigia, molto più pericolosi e letali rispetto alle mafie classiche “coppola e lupara” a cui siamo ancora abituati.
Diceva bene Pippo Fava quando ricordava che “a volte basta omettere una sola notizia e un impero finanziario si accresce di dieci miliardi; o un malefico personaggio che dovrebbe scomparire resta sull'onda; o uno scandalo che sta per scoppiare viene risucchiato al fondo”.
I nuovi mafiosi hanno compreso benissimo che avere nelle proprie mani i mass media, possedere, influenzare e utilizzare gli strumenti dell'informazione, la televisione, la radio, i quotidiani, vuol dire plasmare a proprio piacimento l’opinione pubblica. Il giornalismo fatto di verità, spesso scomode, che dovrebbe combattere mafie e corruzione oggi scarseggia sempre di più essenzialmente per questi motivi.
La nuova mafia non ha più bisogno di uccidere i giornalisti, le basta renderli passivi.
Vincenzo Musacchio, criminologo, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro ordinario dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.


