Gianni Infantino, presidente della FIFA, si è presentato al Consiglio di Zurigo con parole che sembrano miele ma che in realtà puzzano di ipocrisia. Davanti al genocidio in corso a Gaza, con migliaia di civili palestinesi uccisi, il massimo rappresentante del calcio mondiale si limita a dichiarare che “il calcio non può risolvere i conflitti” ma deve “portare un messaggio di pace e unità”.

Belle frasi, certo. Ma cosa valgono se restano sospese nel vuoto? Mentre i campi da gioco vengono riempiti di slogan vuoti, i campi profughi palestinesi vengono riempiti di cadaveri.

La FIFA ha ricevuto pressioni da mesi: le autorità palestinesi chiedono la sospensione di Israele dalle competizioni internazionali, proprio come accadde con il Sudafrica durante l'apartheid e con la Russia dopo l'invasione dell'Ucraina. Ma Infantino e i suoi dirigenti fanno melina, rinviano, parlano di "consenso delle confederazioni" e di "cautela". In altre parole: temporeggiano per non disturbare i potenti.

È grottesco. Quando si è trattato di bandire la Russia, la FIFA e l'UEFA hanno impiegato poche ore. Quando si tratta di Israele, che bombarda scuole e ospedali sotto gli occhi di tutto il mondo, improvvisamente serve "prudenza". Due pesi e due misure che gridano vendetta.

Il vicepresidente FIFA Montagliani si è persino lavato le mani, scaricando la responsabilità sull'UEFA: "È una questione che riguarda loro". Il solito scaricabarile istituzionale: ognuno si nasconde dietro qualcun altro, così nessuno deve prendere posizione.

Intanto Amnesty International ha scritto nero su bianco: la federcalcio israeliana deve essere sospesa. Ma le lettere delle ONG restano lettera morta quando non coincidono con gli interessi politici ed economici di chi governa il calcio.

Il risultato è un silenzio complice. La FIFA parla di pace, ma in realtà legittima lo status quo, permettendo a Israele di continuare a giocare nei tornei europei come se nulla accadesse. Un insulto non solo ai palestinesi, ma alla stessa idea che lo sport possa avere una dignità morale.

Se il calcio vuole davvero essere universale, deve avere il coraggio di dire no all'apartheid, no ai bombardamenti, no alla pulizia etnica. Altrimenti le parole di Infantino resteranno quello che sono: propaganda vuota per coprire l'inazione.

Il calcio non può fermare i carri armati, è vero. Ma può togliere a uno Stato criminale il palcoscenico internazionale su cui si legittima. Il problema non è che la FIFA non può farlo. È che non vuole.

Ma la gente può comunque fare qualcosa... smettere di guardare le manifestazioni dove anche le nazionali dello Stato ebraico siano coinvolte. E questo riguarda non solo il calcio. Può darsi che gli sponsor siano soddisfatti se i loro prodotti li vedranno solo gli israeliani. Per Infantino sarà probabilmente un grande successo.