Giorgia Meloni dà il suo via libera al confronto con Elly Schlein ad Atreju, ma solo imponendo l'ennesimo paletto: sul palco deve salire anche Giuseppe Conte. Un invito che assomiglia più a una scusa preventiva che a una reale volontà di confronto. La premier ha pubblicato sui social il suo ultimatum, mascherato da apertura: Atreju — dice — è “una casa aperta al dialogo”. Peccato che questo “dialogo” funzioni solo quando può essere gestito da lei, alle sue condizioni, nel suo territorio politico.
Meloni usa due motivazioni per giustificare la presenza obbligatoria di Conte. La prima: “Conte è sempre venuto senza condizioni”. Tradotto: Schlein dovrebbe venire comunque e tacere. La seconda è persino più sfrontata: “Non spetta a me stabilire chi sia il leader dell'opposizione”. E infatti ci prova eccome, pretendendo che gli avversari salgano insieme sul palco per poterli delegittimare entrambi. Risultato: un confronto che Meloni accetterebbe solo se strutturato come uno show a suo vantaggio.
Conte accetta, ma la regia è sempre di Meloni
Giuseppe Conte, come prevedibile, si dice disponibile. Ricorda pure che in passato aveva cercato il faccia a faccia e gli era stato negato. Ora improvvisamente Meloni lo vuole sul palco: non esattamente un caso. Conte risponde “ci sono”, senza sottrarsi. Ma è evidente che, ancora una volta, è la premier a decidere chi deve parlare, quando e come.
Schlein non ci sta: “Meloni scappa, di nuovo”
Elly Schlein, a differenza di Conte, rifiuta il teatrino. Lo dice chiaramente: Meloni ha rifiutato il confronto diretto e ora prova a trasformare un dibattito a due in una rissa a tre. E se davvero la premier vuole farne una questione di coalizioni, allora che si porti Salvini e magari anche Tajani. Una provocazione? Certo. Ma anche un modo per smascherare la logica di Meloni: spostare continuamente i paletti per evitare di discutere faccia a faccia della sua azione di governo.
“È scappata ancora dal confronto”, dice Schlein. E ha poco torto: Meloni vuole il palco, non il contraddittorio. E quando il rischio è quello di affrontare davvero un'opposizione unita, preferisce complicare le condizioni fino a rendere impossibile l'incontro.
La chiusura di FdI: colpa degli altri, naturalmente
Alla fine, è Giovanni Donzelli — responsabile organizzazione di FdI — a chiudere definitivamente la porta: niente Schlein, quindi niente confronto. E in un colpo solo liquida anche l'ipotesi di un duello Meloni-Conte. La linea è chiara: se il confronto non può avvenire esattamente alle condizioni imposte da FdI, allora non si fa.
L'argomento finale è persino grottesco: “Quando l'opposizione avrà un leader unico saremo felici di ospitare un confronto”. Come se spettasse alla maggioranza — e in particolare al partito della premier — decidere quando l'opposizione è legittimata a parlare.
Avs si divide, ma Atreju continua a sembrare più una passerella che un'arena di confronto
Intanto gli inviti di FdI spaccano anche Avs. Bonelli accetta, Fratoianni no. Quest'ultimo ricorda un punto fondamentale: il vero confronto dovrebbe avvenire in Parlamento, non in una festa di partito trasformata in palcoscenico personale della premier. La replica dello staff di Atreju è la solita battuta: “Atreju non morde”. Sì, peccato che a mordere siano soprattutto le condizioni imposte agli ospiti.
Meloni continua a presentarsi come la paladina del dialogo, ma solo quando può controllarne forma, tempi e avversari. E ogni volta che la scena rischia di sfuggirle di mano, arriva puntuale il pretesto per tirarsi indietro. Atreju, più che un luogo di confronto, si conferma ancora una volta un palcoscenico blindato dove il pluralismo è benvenuto solo se addomesticato.


