Mercoledì la Camera dei deputati ha approvato "simbolicamente" – ma con un chiaro valore politico – il rinnovo automatico del Memorandum d'intesa firmato con la Libia nel 2017. La mozione della maggioranza di destra è passata con 153 voti a favore, 112 contrari e 9 astenuti. Bocciate invece le mozioni dell'opposizione che chiedevano di interrompere il rinnovo e rivedere gli accordi con Tripoli.

Poiché non vi è stato un recesso formale, domenica 2 novembre l'intesa è stata automaticamente per altri tre anni.

Cos'è il Memorandum e cosa prevede

L'accordo, voluto nel 2017 dal governo Gentiloni, punta a fermare le partenze di migranti dalla Libia verso l'Italia. In concreto, Roma finanzia, addestra e fornisce supporto logistico alla cosiddetta Guardia costiera libica, oltre a collaborare nel controllo delle frontiere terrestri e marittime.

Secondo numerose inchieste giornalistiche e rapporti delle Nazioni Unite e di organizzazioni indipendenti, questo sistema ha di fatto contribuito al consolidamento di una rete di violenza, detenzione arbitraria e sfruttamento. I migranti intercettati in mare o catturati a terra vengono riportati nei centri di detenzione libici, gestiti da milizie coinvolte in traffici illeciti. Qui subiscono torture, stupri, estorsioni e malnutrizione.

Ai sopravvissuti, dopo essere stati schiavizzati, nel caso siano stati in grado di racimolare i denari per un posto su una delle carrette del mare, viene data l'opportunità di rischiare la vita per raggiungere l'Europa. Per alcuni di loro l'opportunità si trasformerà in un giooco dell'oca, con il rischio di essere nuovamente catturati e di subire nuovamente le torture di cui sono stati vittime.

La “Fabbrica della Tortura”

Già nel 2020, il rapporto La Fabbrica della Tortura dell'organizzazione Medici per i Diritti Umani (MEDU) denunciava oltre tremila testimonianze di violenze sistematiche.
I sopravvissuti raccontano un Paese "trasformato in un enorme sistema di sfruttamento dei migranti e rifugiati, sottoposti a violenze gravissime, divenute una delle principali fonti di reddito".

Cinque anni dopo, nulla è cambiato. La Libia resta un luogo di detenzione e tortura, e l'Italia continua a sostenerne le autorità responsabili in nome del blocco dei flussi migratori.


Un segnale ignorato

Il 24 agosto, la nave umanitaria Ocean Viking della Ong SOS Méditerranée è stata attaccata in acque internazionali da una motovedetta libica. Per venti minuti la nave e chi ne era a bordo sono stati sotto il fuoco libico: oltre 200 colpi d'arma da fuoco. A bordo c'erano 87 naufraghi già soccorsi, e l'equipaggio stava per effettuare un nuovo salvataggio.

L'episodio dimostra, ancora una volta, che le forze libiche finanziate dall'Italia e dall'Unione Europea operano al di fuori di qualsiasi controllo e spesso con modalità criminali. 


Il caso Almasri: cooperazione sì, responsabilità no

In questo contesto si inserisce la vicenda del generale libico Mohamed al-Masri (Almasri), ex comandante della Guardia costiera, ricercato dalla Corte penale internazionale (CPI) per crimini di guerra e contro l'umanità.

Arrestato a Torino il 19 gennaio, è stato rimpatriato a Tripoli appena due giorni dopo con un volo di Stato, contravvenendo agli accordi in atto con la CPI, cui l'Italia è obbligata in base ad un trattato internazionale... lo Statuto di Roma!
Perché l'Italia non ha seguito la prassi definita dalla Corte penale internazionale?
Per quale motivo il ministero della Giustizia non ha risposto alle richieste dei magistrati?
Perché riportare in patria un presunto criminale, responsabile di reati gravissimi?


La risposta dell'Italia alla Corte penale internazionale

Il governo italiano ha fornito una risposta ufficiale alla CPI, tramite l'ambasciatore nei Paesi Bassi, Augusto Massari. Roma ha parlato di “problemi di coordinamento” tra magistratura e ministero della Giustizia, esprimendo comunque la volontà di collaborare.
Una formula diplomatica che tenta di contenere il danno, evitando però di assumersi responsabilità politiche dirette.


Il nodo della riforma e le tensioni interne

L'episodio Almasri riapre il dibattito sulla legge 237 del 2012, che impone ai magistrati italiani di comunicare con la CPI solo tramite il ministero della Giustizia. La riforma in discussione in Parlamento punta a eliminare questo filtro, permettendo una comunicazione diretta.

In altri Paesi europei — Francia, Germania, Spagna, Regno Unito — è invece l'esecutivo a gestire le richieste verso la Corte, filtrandole per motivi di sicurezza nazionale o politica estera.
In Italia le tensioni tra poteri dello Stato, i casi giudiziari che coinvolgono ministri e le interferenze politiche rendono ancora più complicato il dialogo con la giustizia internazionale.


E mentre a Roma si discute di riforme e responsabilità, sul fronte libico nulla cambia. Il Memorandum resta in vigore e continua a essere difeso da chi lo considera uno strumento indispensabile contro l'immigrazione irregolare.
Eppure, le prove delle violazioni — dall'ONU alle Ong — sono ormai schiaccianti: l'Italia di Giorgia Meloni - la madre cristiana - sta sostenendo, finanziando e legittimando un sistema che produce morte, tortura e impunità... persimno nei confronti dei minori!

L'accordo è stato rinnovato automaticamente per altri tre anni... e con esso, anche la responsabilità politica e morale dell'attuale maggioranza (post) fascista, visto che stavolta anche il PD si è espresso contro.