Ottobre è la stagione della raccolta delle olive nella Cisgiordania occupata, ma gli attacchi dei coloni israeliani sono aumentati, spaventando i palestinesi e allontanandoli dalle loro terre.
Ad esempio, l'altro ieri quando, nonostante la presenza di reporter e di attivisti occidentali, un gruppo di coloni israeliani incappucciati ha aggredito un gruppo di palestinesi mentre raccoglieva le olive nella città di Turmus Aya, nella Cisgiordania occupata, ferendo gravemente una donna a colpi di mazza. Almeno un'auto è stata incendiata. Ad altre sono stati rotti i finestrini.
"L'attacco è iniziato con circa 10 coloni, ma altri hanno continuato ad aggiungersi", ha detto un testimone palestinese ad Al Jazeera. "Credo che alla fine fossero in 40, protetti dall'esercito. Eravamo in inferiorità numerica, non potevamo difenderci".
Questa è la situazione che si sta vivendo nella Cisgiordania occupata durante la stagione della raccolta delle olive, un momento tradizionalmente importante per le comunità palestinesi, sia dal punto di vista economico che culturale.
La raccolta delle olive rappresenta molto più di un’attività economica per i palestinesi; è un gesto di resistenza e di affermazione della propria identità storica e culturale. Le querce e gli ulivi sono simboli antichi di Palestina, radicati nel paesaggio e nella memoria collettiva. La distruzione o l’attacco a questi alberi rappresenta un tentativo di cancellare un’identità, di esercitare una forma di controllo simbolico e fisico sulla terra.
La BBC (link) riporta che "gli attacchi mirano a intimidire i palestinesi e, in ultima analisi, a cacciarli dalle loro terre affinché i coloni possano impossessarsene. La stragrande maggioranza rimane impunita, con solo il 3% delle indagini ufficiali sulla violenza dei coloni tra il 2005 e il 2023 che si concludono con una condanna, secondo l'organizzazione israeliana per i diritti civili Yesh Din. Molti episodi non vengono indagati."
Negli ultimi mesi gli attacchi sono aumentati in modo esponenziale, con numeri che indicano un’impennata della violenza. Sono stati segnalati almeno 71 attacchi nel solo ultimo mese, con almeno una vittima mortale e numerosi feriti.
La distruzione di oltre 1.400 alberi testimonia non solo il danno economico, ma anche l’intenzione di minare la sostenibilità delle comunità agricole palestinesi.
La statistica di oltre 200 incidenti lo scorso anno, quasi il doppio rispetto al 2023 e tre volte superiore rispetto al 2022, indica un trend di escalation che si inserisce in un quadro di crescente impunità e tolleranza delle violenze da parte delle autorità israeliane.
Un elemento centrale del problema riguarda la protezione offerta ai coloni da parte delle forze armate israeliane. Tutte le testimonianze raccolte dai media arabi riferiscono che i cittadini palestinesi sono spesso in inferiorità numerica e che i coloni israeliani vengono protetti dai soldati, lasciando spazio a una violenza che si svolge con una sorta di impunità.
Questa dinamica alimenta la percezione di un sistema di doppio standard, in cui i coloni, con il supporto delle autorità, possono agire con estrema violenza e impunità, mentre i palestinesi si trovano spesso impotenti di fronte a queste aggressioni.
Secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, le aggressioni sono quasi 3.000 negli ultimi due anni, un dato che sottolinea come questa non sia una serie di episodi isolati, ma una tendenza sistematica.
La frequenza e la gravità degli attacchi evidenziano come la situazione umanitaria sia critica, con conseguenze dirette sulla vita quotidiana delle popolazioni palestinesi, sulla loro sicurezza e sulla loro capacità di mantenere le proprie attività agricole.
Questa escalation non riguarda solo le singole aggressioni, ma rappresenta una strategia di controllo territoriale e di mantenimento del dominio attraverso la violenza e la distruzione sistematica delle risorse palestinesi.
La distruzione degli ulivi, simbolo di resilienza, si trasforma così in un atto di oppressione e di negazione dei diritti fondamentali.
La distruzione degli ulivi e l’espansione coloniale sono fenomeni interconnessi: spesso, gli attacchi ai terreni e agli alberi palestinesi avvengono in zone soggette a piani di insediamento o sono direttamente correlati alla creazione di nuove colonie.
Infatti, le terre confiscate o distrutte sono spesso destinate all’ampliamento degli insediamenti.
"Vengono e bruciano gli alberi o li sradicano. Per almeno cinque anni di fila, è quello che hanno fatto. E alla fine, hanno preso la terra e ci hanno messo i coloni." (Al Jazeera - link)
Il numero di coloni in Cisgiordania è negli ultimi 25 anni è più che raddoppiato, passando dai circa 200mila del 2000 agli oltre 500mila attuali. Gli insediamenti principali occupano circa 10-15% della Cisgiordania in termini di superficie territoriale, ma considerando anche le aree di accesso, i terreni agricoli confiscati e le zone di sicurezza, la superficie totale interessata si aggira intorno al 20-30% del territorio.
La presenza di outposts (presidi isolati, spesso considerati illegali dalla legge israeliana, ma tollerati) contribuisce ulteriormente all'espansione e all'occupazione di terreni.
La diffusione sul territorio cisgiordano di coloni protetti da infrastrutture riservate e da un sistema di sicurezza avanzato permette ad Israele di esercitare un controllo capillare sul territorio, rendendo difficile per i palestinesi esercitare i propri diritti di proprietà e di utilizzo delle terre agricole.

