Nella città dove il fiume incontra la foresta, è cominciata la Cúpula do Clima, preludio della COP30, con una domanda che pesa come piombo nell'aria umida dell'Amazzonia: l'umanità ha ancora il coraggio di salvare se stessa?

Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva non ha usato mezze parole. Dal palco inaugurale ha puntato il dito contro decenni di inazione globale: “A COP30 será a COP da verdade”, ha scandito. È un avvertimento, non una speranza. “Abbiamo perso tempo, troppe volte. La scienza ci avverte da oltre 35 anni, ma la politica continua a giocare a rimpiattino con il futuro.”

L'Amazzonia come specchio del mondo
Mai prima d'ora una Conferenza sul Clima era stata ospitata nel cuore dell'Amazzonia — e non per caso. Lula lo ha detto chiaramente: “Non esiste simbolo più grande della causa ambientale di questa foresta.” Ma quella stessa foresta che rappresenta la vita del pianeta è oggi una vittima della febbre globale che la specie umana ha scatenato.

Il 2024 è stato l'anno in cui la temperatura media della Terra ha superato per la prima volta di 1,5°C i livelli preindustriali. Non più un avvertimento: un dato di fatto. E se la tendenza continua, non basteranno le promesse a fermare il disastro.

Tra ipocrisie e combustibili fossili
Lula ha ricordato l'assurdità di un mondo che si riunisce da trent'anni per discutere gli stessi problemi senza risolverli: ventotto conferenze per riconoscere la necessità di abbandonare i combustibili fossili; ventinove per ammettere che servono soldi — tanti, 1,3 trilioni di dollari — per farlo davvero. Il tempo delle mezze misure è finito.

“È ora di mappare, con giustizia e pianificazione, come invertire la deforestazione e superare la dipendenza dai fossili,”

ha tuonato il presidente, chiarendo che il Brasile vuole guidare la svolta, non subirla.

Il richiamo alla realtà
Il segretario generale dell'ONU António Guterres ha fatto eco alle parole di Lula, ma con il tono severo di chi non crede più alle buone intenzioni. “Non è più tempo di negoziazioni. È tempo di implementazione, implementazione, implementazione.”
Il messaggio è brutale ma necessario: o si agisce ora, o la prossima conferenza potrebbe svolgersi tra le macerie climatiche di un pianeta che non perdona.

Dalla teoria alla vita quotidiana
Lula ha anche toccato un punto spesso ignorato dai tecnocrati del clima: la distanza tra le cifre e la realtà. “La gente forse non capisce cosa siano le tonnellate di CO₂, ma sente la puzza dell'aria, la sete, il caldo insopportabile,”

ha detto. È il richiamo alla concretezza, a una battaglia che deve uscire dalle carte diplomatiche per entrare nelle case, nelle fabbriche e nei campi.

La COP della verità
A Belém, Lula non si limita a sognare. Pretende. Pretende che i leader smettano di nascondersi dietro statistiche e tornino a fare politica vera. Pretende che la giustizia climatica non sia un esercizio retorico ma una strategia operativa. Pretende che il mondo agisca come una comunità, non come un condominio litigioso.

“Le parole dette qui saranno la bussola del cammino,”

ha concluso. Una frase che suona come una minaccia per chi continua a tergiversare.

Belém oggi non è solo un punto sulla mappa. È il termometro di un mondo che brucia e il banco di prova per un'umanità al bivio: cambiare rotta o scomparire nel silenzio rovente che essa stessa ha creato.