La COP30 di Belém, in Brasile, si chiude con un compromesso che lascia l'amaro in bocca a molti: nel testo finale non compare alcun riferimento diretto ai combustibili fossili, i principali responsabili del riscaldamento globale. Dopo due settimane di tensioni, ritardi e caos organizzativo, il vertice arriva a un'intesa che soddisfa soprattutto i paesi produttori di petrolio e gas, decisi a difendere il proprio diritto a sfruttare le risorse fossili per sostenere le loro economie.

Una sconfitta per oltre 80 paesi
Regno Unito, Unione Europea e altri 80 stati chiedevano un impegno più forte e chiaro per accelerare l'uscita da petrolio, carbone e gas. Ma la resistenza dei paesi produttori – Arabia Saudita in testa – ha bloccato ogni passo avanti significativo. Il risultato è un appello vago e “volontario” a ridurre l'uso di combustibili fossili, senza scadenze né obblighi.

La frustrazione è esplosa anche sul metodo. La delegata colombiana Daniela Durán González ha accusato la presidenza della COP di aver blindato il testo finale senza permettere obiezioni in plenaria. La Colombia ha ricordato che oltre il 75% delle emissioni globali proviene dai combustibili fossili e che ignorare questo dato significa evitare la realtà.

L'assenza degli Stati Uniti pesa
Per la prima volta gli Stati Uniti non hanno inviato una delegazione. Donald Trump, tornato alla Casa Bianca, ha confermato l'intenzione di uscire dall'Accordo di Parigi e ha definito il cambiamento climatico “una truffa”. La sua assenza ha lasciato un vuoto evidente nei negoziati: storicamente Washington ha spesso fatto blocco con UE e Regno Unito per bilanciare le spinte dei paesi produttori.

Tra caos logistico e tensioni politiche
Il contesto della COP30 è stato surreale: allagamenti, caldo insopportabile, bagni senz'acqua, evacuazioni ripetute e persino un incendio al tetto della struttura. Un gruppo di 150 manifestanti è entrato forzando la sicurezza, denunciando la vendita delle foreste amazzoniche.

Malgrado le ambizioni dichiarate, anche il Brasile è apparso contraddittorio: mentre puntava a un accordo più forte sui fossili, si preparava a espandere le perforazioni petrolifere alla foce dell'Amazzonia.

Reazioni miste
L'India ha definito l'accordo “significativo”, mentre il gruppo dei piccoli stati insulari lo ha giudicato “imperfetto ma un passo avanti”. Per i paesi più vulnerabili, almeno una promessa è arrivata: più finanziamenti per l'adattamento ai cambiamenti climatici. Resta però da capire quanta parte proverrà davvero da fondi pubblici, considerando le promesse mancate delle nazioni ricche.

Ed Miliband (Regno Unito) e Wopke Hoekstra (UE) non hanno nascosto la delusione, pur parlando di un “passo avanti”. La verità è che molti negoziatori hanno passato la notte a tentare di salvare un linguaggio più ambizioso sui combustibili fossili, senza riuscirci.

Foreste e finanza: qualche progresso, ma fuori dal testo principale
Il Brasile ha lanciato il fondo “Tropical Forests Forever Facility”, raccogliendo 6,5 miliardi di dollari per proteggere le foreste tropicali. Ma il piano resta fuori dagli impegni ufficiali, così come una roadmap globale per fermare la deforestazione.

Sul fronte finanziario, l'accordo chiede di triplicare entro il 2035 i fondi per l'adattamento climatico. Anche qui manca chiarezza su chi pagherà realmente. Il divario tra promesse e realtà, soprattutto da parte dei paesi più ricchi, resta enorme.

Cosa era in gioco e cosa resta irrisolto
La COP30 doveva trasformare impegni vaghi in passi concreti. Non ci è riuscita. Il riferimento all'accordo di Dubai (COP28), che parlava di “transizione dai combustibili fossili”, è stato mantenuto ma non rafforzato. Nessun percorso vincolante, nessuna scadenza, nessuna strategia comune.

Il contesto globale non ha aiutato: la spaccatura sul clima è ormai evidente, alimentata anche dalla linea negazionista dell'amministrazione Trump. Paesi con economie basate sulle fossili non intendono rinunciare ai propri interessi, nemmeno davanti ai segnali sempre più evidenti del fallimento dell'obiettivo 1,5°C.

La verità nuda e cruda
Le decisioni della COP30 non sposteranno l'ago della bilancia. Non abbastanza da cambiare le traiettorie attuali. L'UNFCCC riconosce che gli accordi passati hanno stimolato azioni globali, ma questa volta il passo avanti non c'è stato. La scienza dice che stiamo sforando i limiti. La politica dice che non è pronta a toccare veramente i combustibili fossili.

Il risultato? Un compromesso debole che molti festeggiano solo perché le trattative non sono crollate. Ma il pianeta non ha bisogno che le trattative “non crollino”: ha bisogno che cambino davvero qualcosa.

Il perché lo spiegano le 90 persone morte e le altre 12 risultano disperse dopo che giorni di forti piogge hanno provocato inondazioni e frane in Vietnam. 186.000 le case danneggiate in tutto il paese e oltre tre milioni i capi di bestiame spazzati via, secondo il governo vietnamita, a seguito delle inondazioni dei giorni scorsi, ennesimo evento meteorologico estremo che ha colpito il Paese negli ultimi mesi, dopo i tifoni Kalmaegi e Bualoi.