Per chi ha ancora dubbi: sì, Giorgia Meloni è una fior di fascista. Non lo è in senso caricaturale — niente camicie nere né saluti romani in pubblico — ma nei fatti, nelle idee, nell'impianto ideologico e nei metodi di governo. Dietro il trucco del "conservatorismo pragmatico" e le moine diplomatiche da leader internazionale, c'è una linea di continuità storica, culturale e politica con il fascismo del XX secolo. Vediamo perché.


Un'eredità mai rinnegata

Meloni non è soltanto cresciuta in un ambiente di destra: ha cominciato a militare a 15 anni nel Fronte della Gioventù, la costola giovanile del Movimento Sociale Italiano (MSI), partito fondato dai nostalgici di Mussolini. Non si è mai dissociata chiaramente da quella matrice: anzi, ne ha sempre rivendicato la coerenza, l'orgoglio identitario, la missione di "difendere l'Italia". Ancora oggi ride e scherza sul simbolo della fiamma tricolore — fiamma che rappresenta letteralmente il fuoco sulla tomba del Duce — dicendo che forse fu l'incendio nella sua casa da bambina a influenzarla. Spiritosa? No. Sintomatica.


Fascismo moderno: autoritarismo soft, identitarismo duro

Meloni non ha bisogno di evocare Mussolini apertamente. I suoi atti parlano chiaro. Ha proposto una riforma istituzionale che rafforza enormemente il potere esecutivo a scapito del Parlamento — esattamente ciò che fece il fascismo storico. Ha lanciato una crociata contro la stampa indipendente, citando a giudizio i giornalisti per diffamazione, e "militarizzato" la tv pubblica. Ha stretto la morsa sulle proteste, limitandone la portata con nuove leggi liberticide (decreto sicurezza). E sul fronte giudiziario, spinge per controllare le procure, scavalcando il principio di separazione dei poteri che invece dice di voler attuare con la separazione delle carriere dei magistrati!

In più, c'è la retorica: "difendere chi siamo", "fermare l'omologazione globale", "ricostruire l'orgoglio nazionale". È l'ABC del nazionalismo reazionario, quello che evoca l'identità come scudo contro il cambiamento sociale, le minoranze, i diritti civili. Questo è fascismo culturale, puro e semplice.


Xenofobia sistemica

La sua ossessione per l'immigrazione è un altro segno distintivo. Ha promesso blocchi navali, ha pagato milioni per esternalizzare i centri di detenzione in Albania — un progetto che i tribunali italiani hanno bocciato come illegale. Ha siglato con la Tunisia un accordo sciagurato, analogo a quello firmato  da Minniti con Tripoli, nei cui lager documenti internazionali hanno accertato torture. Nel frattempo, si vanta di aver ridotto del 64% gli sbarchi, come se il problema fosse il numero e non la dignità umana. L'Italia, sotto Meloni, è diventata un laboratorio di disumanizzazione legalizzata. Questo è fascismo gestionale.


L'ipocrisia internazionale

All'estero si vende come moderata. Difende l'Ucraina, si oppone alla Cina, dialoga con Biden e von der Leyen. Ma è solo strategia. La vera Meloni emerge quando si allea con Orbán, quando riceve elogi da Musk, quando corteggia Trump e Vance, o quando cerca di riplasmare l'Europa mettendo insieme tutte le destre radicali sotto una sola bandiera. Per non parlare di Netanyahu, di cui fa finta di non vedere il genocidio che sta commettendo nei confronti dei palestinesi. Quello che sembra realismo diplomatico è, in realtà, una rete internazionale di autoritarismo neoconservatore.


La nostalgia mai sopita

Nel suo entourage, il culto di Mussolini non è una vergogna, ma un vezzo. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, colleziona busti del Duce. Nessuno è stato mai espulso o sconfessato per simpatie fasciste. Anzi, Meloni ha creato un contenitore — Fratelli d'Italia — che accoglie indistintamente neofascisti, conservatori clericali, ex forzisti e antieuropeisti. "Una destra plurale", dicono. In realtà, è una destra che ha normalizzato il fascismo sotto mentite spoglie.


Meloni non ha bisogno di dichiararsi fascista. Le basta agire come tale, e lo fa ogni giorno. È una leader che difende l'identità nazionale con toni suprematisti, che reprime il dissenso con mezzi istituzionali, che stravolge gli equilibri democratici in nome della governabilità e che criminalizza l'alterità sociale, culturale e sessuale.

Meloni non è una moderata. È il fascismo che ha imparato a parlare inglese e a usare Instagram. Ma la sostanza non cambia: è autoritaria, nazionalista, identitaria, illiberale. Insomma, una fior di fascista — e il mondo farebbe bene a non farsi incantare dal trucco.