La scenetta andata in onda nello Studio Ovale è stata una di quelle occasioni in cui la politica internazionale viene ridotta a teatro di cattivo gusto. Donald Trump, con Mohammed bin Salman seduto accanto, ha deciso di riscrivere la storia a favore del suo ospite: il principe ereditario saudita – secondo lui – “non sapeva nulla” dell'omicidio di Jamal Khashoggi. Peccato che le agenzie di intelligence statunitensi dicano l'esatto contrario. Ma evidentemente, quando arrivano accordi miliardari, le valutazioni ufficiali diventano dettagli trascurabili.
Bin Salman, dal canto suo, ha recitato il copione del leader affranto: è stato “doloroso”, hanno fatto “tutti i passi giusti”, hanno migliorato il sistema. Una litania che suona stonata considerando che il suo curriculum è costellato di repressione del dissenso e pugno di ferro a casa propria (chiedere alla minoranza sciita di al Qatif). La narrativa della “grande riforma sociale” non cancella un omicidio eseguito da agenti del suo stesso regime.
Il quadretto si è fatto ancora più surreale quando Trump ha rimproverato una giornalista che ha osato nominare Khashoggi, accusandolo di voler imbarazzare l'ospite. Come se ricordare un uomo ucciso e smembrato fosse una mancanza di galateo diplomatico! Per completare l'opera, il presidente USA ha elogiato il principe per il suo lavoro “incredibile” sui diritti umani!!! Una battuta che, in un mondo meno cinico, verrebbe scambiata per ironia.
Trump is an embarrassment and disgrace to America.
— Feisty is proud to be a Democrat! (@FeistyLibLady) November 19, 2025
He actually suggested journalist Jamal Khashoggi had it coming when Crown Prince Mohammed bin Salman ordered the brutal murder of Khashoggi.
Trump denied what our intel found and got upset at a journalist for embarrassing the… pic.twitter.com/SlEPLAglid
La moglie di Khashoggi, Hanan Elatr, lo ha ricordato con semplicità: nessuna controversia, nessun giudizio politico tutela o giustifica un omicidio brutale. Ma questa voce, come spesso accade alle vittime, è stata ricoperta dal frastuono degli affari.
Al di là del teatrino, il viaggio di bin Salman negli Stati Uniti ha un obiettivo concreto: consolidare un rapporto strategico che vale miliardi. Trump lo ha accontentato: designazione della monarchia saudita come “major non-NATO ally”, vendita di F-35, 300 carri armati, cooperazione nucleare civile, intelligenza artificiale, minerali critici. Una lista della spesa che fa capire quanto velocemente venga archiviato un omicidio quando si tratta di soldi, tecnologia e influenza geopolitica.
La vendita degli F-35 è un salto storico e rischioso: finora l'unico Paese in Medio Oriente a possederli era Israele. Alterare questo equilibrio non è un dettaglio, ma evidentemente qualcuno è più interessato agli assegni che alla stabilità della regione.
Sul nucleare, poi, gli Stati Uniti spianano la strada a un Paese che insiste per avere margini tecnologici potenzialmente sensibili, come l'arricchimento dell'uranio. Una richiesta che gli USA avrebbero in altri contesti bollato come pericolosa. Ma si sa: certe rigidità valgono solo per i nemici, non per gli alleati con portafogli generosi.
L'accoglienza – parate, onori militari, saluti, sorvoli – è stata degna di una visita di Stato a cui il passato imbarazzante dell'ospite doveva essere accuratamente nascosto sotto il tappeto. Bin Salman ha rilanciato con la solita promessa: investimenti per un trilione di dollari negli Stati Uniti. Ovviamente senza dettagli, senza date, senza niente che ricordi un impegno reale. Ma il numero fa scena, ed è questo che conta nel marketing geopolitico.
Nemmeno la questione dei possibili conflitti d'interesse della famiglia Trump viene affrontata seriamente: basta dire “non ho più nulla a che fare con gli affari” e tutto svanisce, anche se i profitti finiranno comunque nelle tasche di chi ha costruito l'impero di famiglia.
Conclusione: l'ombra di Khashoggi resta
Si può provare a seppellire un caso diplomatico, a cancellarlo dal copione, a fingere che non sia mai accaduto. Ma l'omicidio di Jamal Khashoggi continua a pendere come una spada su ogni stretta di mano tra Washington e Riad. Per alcuni leader, però, la memoria è un ostacolo: meglio liquidare l'intera faccenda con un “non sapeva nulla”, firmare qualche accordo e andare alla cena di gala.


