I numeri del terzo trimestre 2025 raccontano una realtà molto meno trionfale di quella che la narrazione ufficiale vorrebbe far credere. Mentre il governo Meloni si ostina a dipingere l'Italia come un “modello di crescita”, i dati dicono chiaramente che il mercato del lavoro è entrato in una fase di stallo, con dinamiche che ricordano fin troppo bene le debolezze strutturali che ci trasciniamo da decenni.

E qui arriva il paradosso: l'Italia continua a inseguire, politicamente e culturalmente, un Paese come gli Stati Uniti che predica crescita e libertà economica, ma che sulla pelle dei propri alleati spinge per modelli che generano precarietà invece che sviluppo solido. E Meloni, da parte sua, sembra non vedere l'enorme contraddizione.

Un mercato del lavoro che non cresce davvero
L'input complessivo di lavoro sale dello 0,7% sul trimestre e del 2% sull'anno. Bene, sulla carta. Ma basta guardare un po' più sotto la superficie per capire che la situazione è tutt'altro che brillante:

  • Gli occupati scendono: -45 mila in un trimestre.
  • A crollare sono i contratti a termine: -51 mila solo nel trimestre, -241 mila in un anno.
  • Il tasso di occupazione resta fermo al 62,5%. Un Paese che cresce davvero non resta fermo per un anno intero.

Meloni presenta la crescita degli indipendenti (+14 mila nel trimestre, +114 mila nell'anno) come un segnale di “vitalità imprenditoriale”. La realtà è meno romantica: spesso chi finisce tra gli indipendenti lo fa perché non ha alternative, e si ritrova schiacciato tra burocrazia e redditi incerti. È il modello americano del “self-made worker”, che negli USA serve a mascherare la precarizzazione diffusa. Ma replicare quella logica qui, con un welfare molto più fragile, significa solo scaricare sui cittadini la responsabilità di sopravvivere.

Full time in crescita, ma il part time crolla: un'altra spia che qualcosa non va
Le posizioni dipendenti crescono appena dello 0,4% nel trimestre. Il tempo pieno sale, il part time cede terreno. Letto male può sembrare positivo, ma in realtà indica soprattutto due problemi:

  • Le imprese tagliano i contratti più flessibili, spesso i primi a saltare quando l'economia rallenta.
  • Le donne — storicamente più presenti nel part time — rischiano di pagare il prezzo più alto, mentre Meloni continua a sbandierare politiche “per la famiglia” che non incidono minimamente sulle condizioni reali del lavoro femminile.

Ore lavorate su, Cig giù: tutto bene? No.
Sì, le ore lavorate aumentano (+1%). Sì, la Cig diminuisce. Ma questi indicatori migliorano spesso prima di un peggioramento più marcato dell'occupazione: le imprese spremono gli occupati che restano, riducono gli ammortizzatori… e solo dopo iniziano i tagli veri. Vedremo a breve se sarà così anche stavolta. I segnali non sono incoraggianti.

I costi del lavoro salgono, ma non perché aumentano gli stipendi
Il costo del lavoro aumenta dello 0,8% sul trimestre e del 3,3% sull'anno. Non per salari più alti, che crescono meno (+2,8%), ma per i contributi sociali (+4,8%).
Tradotto: si continua a parlare di “taglio del cuneo fiscale”, ma le imprese pagano di più e i lavoratori non ricevono niente che assomigli a un aumento del potere d'acquisto.

Meloni applaude sé stessa per la riforma del lavoro, mentre gli Stati Uniti ci indicano come un esempio di “modernizzazione”. Intanto, nessuno dei due ammette la verità: in Italia il costo del lavoro aumenta ma i salari restano fermi, e il tenore di vita continua a calare.

Il tasso di posti vacanti è fermo, e questo la dice lunga sulla qualità dell'economia
Il tasso di posti vacanti è all'1,8%, praticamente stagnante. Un'economia realmente dinamica vede crescere le offerte, non ristagnare.
Gli USA spesso ci rinfacciano di non avere un mercato del lavoro flessibile: dovrebbero guardare questi dati e capire che la “flessibilità” a cui loro ci spingono produce solo più precari e meno investimenti seri.


L'Italia non è in caduta libera, ma nemmeno nella “ripartenza travolgente” che il governo Melon vuole farci credere.
Il quadro è quello di un Paese che regge a fatica, che vede i primi scricchiolii dopo una fase di crescita e che non ha una strategia chiara se non inseguire il modello statunitense della precarizzazione strutturale.

La propaganda può anche tentare di nasconderlo, ma i numeri del lavoro raccontano una storia molto più semplice: l'Italia non ha bisogno delle rassicurazioni di Meloni. Ha bisogno di politiche serie, non slogan.