Se c'è una cosa che la politica americana sa fare meglio della democrazia, è lo spettacolo grottesco della contraddizione. La Casa dei Rappresentanti controllata dai Repubblicani si prepara a votare a favore della pubblicazione dei fascicoli investigativi su Jeffrey Epstein. Indovinate un po'? La misura sembra destinata a passare solo dopo che Donald Trump, che fino a pochi giorni fa faceva di tutto per bloccarla, ha fatto dietrofront con la stessa eleganza di un elefante in un negozio di cristalli.

Fino al weekend, Trump e il suo staff avevano speso tempo e fiato per impedire qualsiasi nuova divulgazione dei file del Dipartimento di Giustizia. La loro narrazione era chiara: tutto questo era una "truffa dei radicali di sinistra" volto a oscurare il "Grande Successo del Partito Repubblicano". Peccato che Epstein non fosse una teoria complottista, ma un criminale condannato per abusi sessuali e traffico di minorenni, morto in carcere nel 2019 "suicidato" in circostanze che restano più che sospette.

Ora Trump dichiara che "non abbiamo nulla da nascondere". Curioso come la sincerità arrivi solo quando il Parlamento minaccia di costringere la mano del presidente. Tutti coloro che avevano osato chiedere trasparenza, dai Democratici a una parte degli stessi sostenitori di Trump, lo sanno bene: non è uno scherzo rilasciare documenti autentici del Dipartimento di Giustizia.

E non finisce qui. Dopo aver cercato di soffocare l'indagine, Trump ordina ora al Dipartimento di Giustizia di indagare su legami di noti Democratici con Epstein, sfidando qualsiasi norma di indipendenza istituzionale. È un atto di pura teatralità politica: spostare l'attenzione dagli scandali propri a quelli degli avversari, mentre il suo passato personale con Epstein, dalle feste a New York alla Palm Beach degli anni '90, resta un dettaglio imbarazzante da minimizzare.

Le email recentemente divulgate suggeriscono che Epstein credeva che Trump "sapesse delle ragazze". Frase vaga, misteriosa, che la Casa Bianca si affretta a definire innocua. Ma la logica di base è semplice: chi ha frequentato un pedofilo seriale non può dichiararsi totalmente estraneo alle sue atrocità e al contempo chiedere fiducia senza fornire spiegazioni concrete.

La parte più grottesca? Molti sostenitori di Trump continuano a sospettare un insabbiamento, convinti che i documenti rivelerebbero legami imbarazzanti tra Epstein e figure potenti. Nel frattempo, i Repubblicani della Camera si preparano a votare a favore della pubblicazione, ma solo perché ormai la pressione pubblica e parlamentare li costringe. Una decisione tardiva che non cancella anni di ostruzionismo.

Questo scenario è la quintessenza del teatro politico: ipocrisia, retorica da campagna elettorale e un presidente che fa inversione di marcia quando la realtà lo bracca. Se non è un caso emblematico di doppio standard, poco ci manca. La domanda rimane: la verità sui legami di Epstein con l'élite politica americana verrà finalmente alla luce, o continueremo a vedere un gioco di specchi, dove l'apparenza conta più della sostanza?