In Italia vi un reparto strategico della Polizia di Stato presente in ogni Questura, che dipende dalla Direzione centrale della Polizia di Prevenzione del Ministero dell’Interno denominato Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali (DIGOS) specializzato nella prevenzione e repressione di fenomeni di terrorismo, estremismo politico/religioso, eversione, criminalità ideologica e violenza negli stadi (tifoserie), si occupa di attività investigative per la tutela dell'ordine democratico e la sicurezza pubblica.
Lo scorso anno sono apparsi alcuni articoli nei quali si parlava di soldati israeliani presentati agli albergatori con nomi di fantasia e di gruppi di militari accompagnati da agenti della Digos presenti in località come Sirolo, le grotte di Frasassi, Porto San Giorgio, Fermo per trascorrere una vacanza in Italia. Vi sono alcune fonti che hanno parlato che ci sarebbero stati numerosi viaggi di questo tipo, almeno a partire dal 2024 e proseguiti anche nel 2025. Si tratterebbe di gruppi di poche decine di persone, della cui presenza non vengono informati i sindaci. Le autorità di polizia però si occupano di accompagnare i militari israeliani presenti sul territorio non come un servizio di scorta ma in quanto i soldati dell'Idf sono ritenuti "obiettivi sensibili", a rischio, in base una fonte dell’Ansa.
Per questo la Digos era stata mobilitata per proteggere la tranquillità delle famiglie dei soldati israeliani che erano venuti in Italia a trascorrere in resort particolarmente confortevoli e tranquilli una vacanza per “decomprimersi” dallo stressa derivante dalla pulizia etnica in atto a Gaza.
Si è parlato delle Marche, ma si sono registrati dei casi simili anche in Sardegna. A inizio settembre ‘Sardegna Notizie 24’ aveva riportato che ci sarebbe stato un gruppo di un centinaio di militari israeliani in un resort di Santa Teresa Gallura, arrivati con un pacchetto turistico di lusso. l'Unione sarda ha aggiunto che era in programma lo sbarco di altri militari all'aeroporto di Olbia: sembra che diverse località in Italia vengano usate da mesi come destinazione per la "decompressione" dei soldati israeliani, che dopo il periodo di riposo tornano in servizio con l'Idf. Si tratta di permessi che vengono concessi dalle forze armate di Tel Aviv, per provare a limitare l'impatto psicologico del genocidio sugli stessi militari che lo commettono.
La senatrice del M5S Maiorino ha chiesto spiegazioni al governo Meloni, se abbia un qualche coinvolgimento su queste presenze visto che la DIGOS dipende dal Ministero dell’Interno. Ha chiesto: “Veramente siamo così ipocriti da accogliere nei nostri ospedali i bambini di Gaza feriti e sulle nostre spiagge i soldati israeliani che sparano loro contro?". Ma non bisogna sorprenderci più di tanto perché l’Italia è la culla dell’ipocrisia!
Ancora più diretto è stato l’intervento del deputato Fede coordinatore regionale delle Marche: “Pensavamo che il turismo nelle Marche dovesse essere potenziato con gli stranieri, sì, ma con famiglie e visitatori da tutto il mondo per compensare il calo degli italiani penalizzati dalla crisi economica. Non certo con i militari israeliani troppo stressati dal fatto che, seguendo gli ordini di Netanyahu, stanno compiendo un genocidio".
Adesso abbandoniamo l’aspetto politico della vicenda per parlare proprio degli effetti che si producono negli individui chiamati a commettere uno sterminio.
Vi è una interessante intervista rilasciata da uno psicologo israeliano specializzato proprio nelle conseguenze psicologiche che si producono sui militari che stanno eseguendo un massacro.
È un ex comandante di regimento dell’esercito israeliano che ha lasciato la carriera dopo aver partecipato alla campagna militare del 2014 a Gaza e che fa parte di coloro che non condividono l’attuale operazione di pulizia etnica a danno dei palestinesi.
Leggendo le risposte del dott. Tuly Flint, psicoterapeuta specializzato in “Stress Post Traumatico” che è stato chiamato a fornire supporto psicologico ai soldati impiegati nella Striscia e in Cisgiordania sono rimasta sconcertata dal contenuto delle risposte dalle quali traspare una mancanza di considerazione per le sofferenze, le ingiustizie e i danni fisici e psicologi che subiscono i palestinesi senza distinzione di età, in pieno dispregio dei loro diritti e della loro dignità.
Riporto testualmente solo due parti dell'intervista, che a mio avviso non hanno bisogno di essere commentate. Per la prima volte ho sentito parlare di lesione morale o trauma del carnefice ma non di crisi di coscienza.
“In quasi la metà delle persone a cui viene diagnosticato il PTSD (disturbo da Stress Post-Traumatico), viene diagnosticata anche lesione morale o trauma del carnefice. Questo non vuol dire che provino senso di colpa nei confronti dei palestinesi, l’altro infatti non esiste in questo tipo di trauma, significa che sono preoccupati per sé stessi: ’Come ho potuto fare questo?’ Non vedono la sofferenza dall'altra parte, ma vedono la propria deviazione: ‘Chi sono io se ho fatto questo?'. La “cura” per la lesione morale è molto interessante. Essa prevede da un lato, terapia, ma dall'altro lato, un’attività di volontariato, nello specifico quello che in ebraico definiamo ‘tikkun’, che significa riparare o aggiustare il mondo. Quindi, se sono molto angosciato dal fatto che ho demolito un asilo a Gaza, non andrò lì e ricostruirò l'asilo, ma farò volontariato in Tibet. Farò volontariato in Kenya, o in altri posti per portare del bene contro gli orrori che ho commesso. Perché il trauma è riferito a te stesso e non all'altra persona, si tratta del trauma del carnefice.”
Continua: “L'esercito parla di 50.000. Professionalmente e clinicamente parlando, sono d'accordo con il numero, e tuttavia aspetto fino alla fine della guerra per vedere quali sono veramente traumatizzati con PTSD e quali si riprenderanno una volta che la guerra sarà finita. E la guerra non è finita. Quindi, in tal senso, l'esercito parla del 5% della popolazione. Se 100 persone vanno in guerra, l'80% non avrà bisogno di nulla, il 10% avrà bisogno di un qualche tipo di supporto, e un altro 5% avrà bisogno di una terapia più intensa, e un altro 5% è a rischio di sviluppare un PTSD cronico.”
Scelta e Crediti immagine: redazione Fai Informazione

