Dietro la facciata scintillante di una vita apparentemente perfetta, si nascondono dipendenze, paure e silenzi. Con “Non c’è nero nell’arcobaleno”, Giacomo De Rosa esplora cosa accade quando il dolore si traveste da piacere. Nell’intervista, l’autore svela origini, visioni e nuove sfide letterarie in arrivo.

 

 

Bentrovato, Giacomo. C’è un messaggio di speranza nel romanzo “Non c’è nero nell’arcobaleno”?

Buongiorno, grazie per l’opportunità che mi concedete.

Per rispondere alla tua domanda… Si, il  mio libro è una narrazione di attesa e aspettativa , dove ogni elemento del racconto, ogni azione è costruita per evolversi, per spingersi verso una direzione.

La comprensione, il prendere coscienza delle variabili che la vita nasconde per proporle poi nei momenti giusti, apparentemente mai opportuni, ma sempre efficaci, è ciò che spinge il racconto verso il cambiamento.

Ho scelto, l’ho fortemente voluto, affinché il messaggio fosse di speranza e buon auspicio.


Rispetto ai tuoi libri precedenti, quali sono gli elementi di novità?

Sicuramente, questo è un testo più maturo , anche se , in ogni scrittura mi piace sperimentare nuovi stili. La storia in se è assolutamente la novità, il fatto di proporla in prima persona, al presente , con una scrittura , a tratti, volutamente più asciutta.

Ho voluto calcare molto sulla personalità del protagonista per far entrare meglio il lettore, dentro la psiche dei personaggi. 


C’è un passo a cui consiglieresti di rivolgere particolare importanza? Perché?

Sicuramente nel momento in cui Giona incontra per la prima volta Uriele, un momento delicato, in cui il cinismo e l’arroganza cozza contro il sentimento, avviando un processo inaspettato e irreversibile.


Ci sono echi delle tue esperienze personali? Qualche sentimento che hai provato sulla tua pelle?

Sicuramente tanti episodi di vita vissuta hanno fatto da cassa di risonanza, tutti i sentimenti descritti nei miei libri , sono in qualche modo stati , anche solo in parte , vissuti.

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