Il presidente dell'Autorità per gli affari dei detenuti e dei liberati, Raed Abu al-Homs, ha denunciato mercoledì che ciò che è accaduto al prigioniero politico Marwan Barghouti — noto anche con il nome di battaglia "Abu al-Qassam" — rappresenta «un tentativo di esecuzione vero, voluto e pianificato», frutto di una campagna di istigazione e di piani maturati nei circoli politici e militari israeliani. 

Secondo Abu al-Homs, dopo la visita del ministro di estrema destra Itamar Ben-Gvir, Barghouti è stato trasferito ripetutamente da un carcere all'altro — «da Rimon a Gilboa e poi a Megiddo» — e durante questi trasferimenti sarebbe stato sottoposto a violenze brutali, percosso ripetutamente in modo grave da polizia e guardie. Le percosse gli hanno causato  sanguinamenti, costole rotte, perdita di coscienza. A seguito di ciò non gli sono state fornite cure mediche. Invece di esser ricoverato in ospedale a Barghouti sarebbe stata somministrata soltanto una compressa di Acamol, cioè del semplice paracetamolo.

Abu al-Homs ha avvertito che Barghouti «si trova in una situazione reale di pericolo» e che le recenti aggressioni, «senza alcuna giustificazione e senza tener conto della sua età e del suo stato di salute», rappresentano un messaggio chiaro: «questa potrebbe essere la tragica fine per l'intero popolo palestinese». Ha inoltre sottolineato il peso simbolico di Marwan Barghouti per la popolazione palestinese e ha ammonito che un eventuale passo estremo da parte delle autorità israeliane avrebbe conseguenze gravissime.

Il presidente dell'Autorità per i detenuti ha rivolto un appello urgente alla comunità internazionale — alle sue diverse istituzioni — affinché intervenga per «salvare il leader Abu al-Qassam dall'arroganza criminale e dalla follia di Netanyahu e della sua banda», e ha chiesto all'Egitto e al Qatar di non chiudere la questione dello scambio di prigionieri, ma di esercitare ogni pressione possibile, anche tramite l'amministrazione statunitense, per ottenere la libertà di Barghouti e dei suoi  compagni anch'essi detenuti. 

Il quadro delineato dalle dichiarazioni è chiaro e inquietante: accuse di violenza intenzionale, mancata assistenza medica e una politica di apertura verso provvedimenti estremi — fino all'evocazione, da parte di figure di governo e parlamentari di estrema destra, della possibilità di applicare la pena capitale ai prigionieri palestinesi — rendono la situazione per Barghouti particolarmente delicata. Osservatori e organizzazioni per i diritti dei detenuti hanno già espresso allarme per il possibile inasprimento delle misure repressive all'interno delle carceri israeliane. 


Il caso Barghouti, così come descritto dalle autorità palestinesi, non è soltanto la vicenda di un singolo prigioniero: è diventato un simbolo — e un possibile punto di non ritorno — nelle relazioni tra occupante e popolazione palestinese. Le richieste di intervento internazionale, le accuse di trattamento inumano e l'escalation retorica proveniente da forze politiche israeliane estreme impongono che la comunità internazionale e gli attori regionali valutino con urgenza la situazione, prima che il conflitto si estenda e paghi un prezzo ancora più alto.