Esclusiva di Report: "Il Segretario Generale del Garante per la protezione dei dati personali, Angelo Fanizza, ha rassegnato le proprie dimissioni. Poche ore fa è stato reso noto all'interno dell'Autorità un documento riservato in cui il Segreterio Generale chiedeva al dirigente del dipartimento informatico di provvedere urgentemente all'estrazione della posta elettronica, degli accessi vpn, degli accessi alle cartelle condivise, degli spazi di rete condivisi, dei sistemi documentali, dei sistemi di sicurezza. La richiesta di Fanizza di spiare i lavoratori dell'Autorità risale al 4 novembre, due giorni dopo la prima puntata dell'inchiesta di Report. Secondo quanto riferito da fonti interne, oggi il dirigente del dipartimento per la sicurezza informatica ha informato i dipendenti e denunciato l'illegittimità di questa richiesta. I lavoratori del Garante della Privacy hanno chiesto le dimissioni dell'intero Collegio".
La situazione che sta travolgendo il Garante della Privacy è semplicemente fuori da ogni logica. Non siamo più nel campo dello scandalo istituzionale: qui si sfiora l'assurdo. Il 4 novembre, appena due giorni dopo l'inchiesta di Report, il segretario generale Angelo Fanizza avrebbe ordinato al dipartimento informatico di accedere alle caselle email dei dipendenti. Tutte. Senza distinzioni, senza giustificazioni credibili. Un blitz digitale in piena regola per frugare nella posta di chi lavora lì dentro.
Che un'istituzione nata per tutelare libertà e diritti fondamentali si riduca a comportamenti da sorveglianza aziendale di basso livello è qualcosa che non si pensava possibile. E infatti i dipendenti, messi di fronte all'evidenza, hanno chiesto le dimissioni dell'intero collegio. Come dargli torto?
Com'è possibile pretendere fiducia da un organo che si comporta come il suo opposto? Se chi dovrebbe vigilare sulla protezione dei dati personali decide di violare quella dei propri lavoratori, allora il problema non è più un singolo scivolone: è una frattura strutturale, insanabile.
Le prime dimissioni sono già arrivate, ma non bastano lontanamente. Nessuno dei membri del collegio può fingere di non avere responsabilità. L'indipendenza del Garante è ormai ridotta a una formula vuota, compromessa da comportamenti che odorano fin troppo di legami politici o di servilismo verso interessi esterni. I fatti parlano chiaro: l'autonomia dell'istituzione è evaporata.
A questo punto non esistono mille soluzioni possibili. Ne esiste una sola: l'uscita di scena completa del collegio. Tutto il resto è fumo negli occhi. Il presidente può ripetere quanto vuole di non avere intenzione di dimettersi, ma questa ostinazione rende ancora più evidente quanto servano interventi legislativi seri e risolutivi.
Perché un Garante della Privacy che viola la privacy non è un paradosso divertente. È un pericolo. E va fermato.
Crediti immagine: diffuso da @ReportRai3 sul proprio canale social


