Per quasi nove decenni, le gemelle Kessler hanno attraversato il mondo come un’unica entità sdoppiata, una simbiosi rara e quasi mitologica. Che abbiano scelto di lasciarlo fianco a fianco, ricorrendo al suicidio assistito, non è solo una notizia: è un varco che si apre dentro il nostro modo di pensare la vita, la morte e la responsabilità morale verso noi stessi e gli altri.
Icone di un’epoca che cambia, le Kessler hanno spesso incarnato la forza di chi non teme di abbattere muri sociali. Lo hanno fatto con il loro stile, con la loro carriera, con il loro modo anticonvenzionale di essere famiglia. E, inevitabilmente, anche con quest’ultima decisione, che scuote, interroga, costringe alla riflessione.
Perché quella domanda, in fondo, riguarda tutti noi: quando vivere diventa insostenibile, è giusto continuare a farlo?
È un interrogativo che entra in collisione con tradizioni, credi religiosi e timori profondi. La fede ci insegna che la vita è un dono affidato alla nostra custodia, un percorso che non ci appartiene fino in fondo. Ma la sofferenza, la fragilità, la prospettiva di un’esistenza svuotata di dignità aprono spiragli che nessuna dottrina riesce a chiudere del tutto. Le Kessler hanno posto la loro risposta con un gesto definitivo, che per molti resterà scandaloso e per altri profondamente umano. E nessuno, onestamente, può dire di possedere quella verità che loro hanno cercato.
Da sempre inseparabili, le due sorelle avevano scelto di vivere in appartamenti confinanti, separati soltanto da una parete scorrevole, un diaframma sottile, quasi simbolico, tra due vite simbiotiche. Eppure, a stupire è stata la loro disposizione postuma: il desiderio di riposare per sempre nella stessa urna, con le proprie ceneri mescolate fra loro e con quelle della madre e del barboncino Yello, la “famiglia allargata” che le aveva accompagnate per tutta la vita. Un’idea tenera, radicale, e al tempo stesso impossibile da realizzare secondo le rigide normative bavaresi, che vietano sia l’urna condivisa sia la presenza di resti animali in un cimitero. Così le Kessler, unite fino all’ultimo respiro, potrebbero essere separate proprio nell’atto che avrebbe dovuto sancire la loro eterna comunione.
Questa volontà così intima ci restituisce però la verità più profonda della loro esistenza: non erano due sorelle, erano un nucleo, una cellula doppia, forse la forma più pura di ciò che chiamiamo “famiglia”. Il padre, con cui i rapporti furono sempre difficili, riposa lontano, nel Mar Baltico dove le sue ceneri furono disperse nel 1979. Anche questo, in qualche modo, racconta una distanza affettiva che non si colma.
Negli ultimi anni, le Kessler hanno affrontato questioni che molti di noi preferiscono non guardare. Senza figli, senza altri legami familiari oltre al proprio riflesso vivente, hanno dovuto immaginare lo scenario più temuto: una delle due bloccata in uno stato vegetativo. Che cosa avrebbe dovuto fare l’altra? La risposta che si erano date è un misto di amore assoluto e di crudeltà. Avevano un patto: se una fosse rimasta aggrappata alla vita solo grazie alle macchine, l’altra avrebbe dovuto trovare il coraggio di “staccare la spina”. Non per egoismo, non per liberarsi di un peso, ma per fedeltà alla dignità della persona amata.
Alla fine, il destino ha risparmiato loro quella prova terribile: nessuna ha dovuto sopravvivere all’altra. Sono andate via insieme, come avevano vissuto. E in questo gesto estremo c’è qualcosa che sfugge alle categorie morali nette. C’è la forza di un legame che per alcuni potrà sembrare eccessivo, quasi disturbante, e per altri una forma luminosa di fedeltà. C’è il confronto con il limite, con il dolore, con l’inevitabile sfilacciarsi del corpo e della memoria. E c’è la domanda che rimane sospesa, che non si chiude con la loro storia: chi decide, davvero, quando una vita è ancora vita?
Forse le gemelle Kessler non cercavano di dare una risposta universale. Cercavano solo di essere coerenti con ciò che erano: una famiglia di due persone che hanno scelto di non lasciarsi mai. La loro storia, così radicale, non offre soluzioni. Ma ci obbliga a guardare dove non vorremmo, a pensare ciò che spesso rimandiamo, a interrogarci sul significato della dignità, della libertà e dell’amore nelle sue forme meno convenzionali.
La società discuterà ancora a lungo della loro scelta. Le religioni la contesteranno, alcuni la capiranno, molti la giudicheranno. Ma, nel silenzio lasciato dalla loro uscita di scena, resta una certezza: anche nell’ultimo gesto, le gemelle Kessler hanno illuminato un angolo della nostra umanità che preferiamo tenere in ombra. E questo, comunque la si pensi, è ciò che le rende davvero immortali.


