"Ci siamo inoltrati nell'età selvaggia, del ferro e del fuoco. Il 30% degli italiani adesso ha una convinzione inaudita: le autocrazie sono più adatte allo spirito dei tempi. Il Grande Debito inaugura il secolo delle società post-welfare. L'Italia spende più per interessi (85,6 miliardi) che per investimenti (78,3 miliardi): superano dieci volte le risorse destinate alla protezione dell'ambiente (7,8 miliardi). Il lungo autunno industriale rischia di scivolare nel gelido inverno della deindustrializzazione (non basta l'antidoto del riarmo). E sale la febbre del ceto medio, nonostante l'arte arrangiatoria degli italiani. Ecco la vertigine e la speranza di un popolo che, con i barbari alle porte, non prende alloggio al «Grand Hotel Abisso»: non si abbandona alla profezia dell'apocalisse e sceglie il piacere".


1. L'età del ferro e del fuoco: oltre la causalità economica
L'interpretazione dei fenomeni geopolitici contemporanei impone di superare la spiegazione meramente economico-razionale. Nazionalismi, protezionismi, revisionismi territoriali e conflitti armati si radicano in matrici antropologiche profonde: mitologie identitarie, pulsioni messianiche, desideri di riconoscimento e rinnovata volontà di potenza. La governance multilaterale e le architetture liberal-progressiste mostrano un drastico ridimensionamento della propria capacità normativa.
Il 62% degli italiani non riconosce all'Unione europea un ruolo strategico globale e il 53% ne prevede la marginalizzazione sistemica. Si registra una transizione verso un ordine internazionale competitivo, dominato da rapporti di forza e non più da norme e istituzioni. La sfiducia nella leadership occidentale è esplicita: il 74% non considera più il modello statunitense un paradigma socio-culturale esportabile e il 55% ritiene esaurita la spinta propulsiva del progresso occidentale a vantaggio dei poli asiatici emergenti. La legittimazione delle autocrazie come forme più congrue allo spirito dei tempi (30%) segnala un mutamento ideologico radicale nella percezione del potere.

2. Il Grande Debito: da Stato fiscale a Stato debitore
L'accumulo sistemico di debito costituisce la più rilevante variazione ontologica delle economie avanzate. Nei Paesi G7, tra il 2001 e il 2024, il rapporto debito/Pil cresce dal 75,1% al 124,0%, con proiezione oltre il 137% nel 2030 in assenza di shock esogeni.
La trasformazione dello Stato fiscale in Stato debitore annulla la leva riduttiva della pressione tributaria e sabota la capacità allocativa del bilancio pubblico. Il servizio del debito prevarica la funzione redistributiva: in Italia 85,6 miliardi di euro di interessi equivalgono al 3,9% del Pil, superando la spesa ospedaliera e l'intero ammontare degli investimenti pubblici. La dipendenza da creditori esteri (33,7% dei titoli) accresce la vulnerabilità sistemica.
Il paradigma post-welfare non è una minaccia retorica ma un vettore strutturale: contrazione delle tutele, stress sociale, aumento dell'aggressività sistemica e latente rischio di instabilità democratica.

3. La febbre del ceto medio e l'erosione dell'imprenditorialità diffusa
La crisi demografica impatta direttamente sul modello produttivo italiano fondato sulla micro-impresa e sull'auto-imprenditorialità. Tra 2004 e 2024 i titolari d'impresa si riducono del 17% e i giovani imprenditori del 46,2%. Il contributo delle piccole imprese al Pil precipita dal 17,8% al 14,0%. La stagnazione salariale e l'erosione del potere d'acquisto configurano un ceto medio ad alta instabilità sociale, esposto alla perdita del proprio status.

4. Disgregazione della rappresentanza e inversione simbolica élite-popolo
Il 72% degli italiani non attribuisce credibilità ai partiti. Non solo arretra la partecipazione delegata, ma si disintegra l'immaginario collettivo: il 63% non riconosce più alcun orizzonte comune. I leader occidentali non svolgono più una funzione di rassicurazione, ma di allarme permanente: minacce demografiche, climatiche, energetiche e militari ridefiniscono un discorso pubblico catastrofico che non trova corrispondenza nella percezione interna, dove non emergono segnali di radicalizzazione e prevale il rifiuto di impegni bellici e di tagli sociali per il riarmo.

5. Autunno industriale, riarmo e mutazione della struttura produttiva
L'indice manifatturiero segna tre anni consecutivi di declino, con comparti chiave a rischio estinzione tecnologica e competitiva. L'unico settore con espansione costante è la fabbricazione di armamenti: +31% nei primi nove mesi dell'anno. Il riarmo globale agisce come fattore contraciclico, ma altera la geografia alocativa del capitale e rischia di cristallizzare un modello industriale emergenziale e non innovativo.

6. Divaricazione strutturale spesa/consumo
L'inflazione determina la rottura del legame tra valore nominale e volume reale dei consumi: +22,2% nel costo alimentare, -2,7% nei volumi acquistati. Il fenomeno si estende ai servizi finanziari e assicurativi (+47,3% nominale, -2% utilizzo). È un quadro tipico da stagnazione inflazionistica con impoverimento reale progressivo.

7. Invecchiamento del mercato del lavoro e caduta della produttività totale
Oltre l'80% dei nuovi occupati appartiene alla fascia over 50, mentre gli under 35 fuggono dal mercato o transitano verso l'inattività. L'input di lavoro cresce più del Pil (occupati +3,7%, ore +5,3%, Pil +1,7%), con conseguente crollo della produttività. La struttura demografica non solo invecchia: espelle capitale umano giovane e inibisce innovazione e scalabilità.

8. Immigrazione e pregiudizio istituzionale
Nonostante rappresentino componente cruciale di compensazione demografica, gli stranieri subiscono sovraqualificazione (55,4%), marginalità salariale e tassi di povertà tripli rispetto agli autoctoni. Il 63% degli italiani chiede limitazioni ai flussi. L'Italia beneficia della presenza migrante in termini funzionali, ma ne nega la piena integrazione giuridica e civica: asimmetria tipica delle economie in contrazione.

9. Polarizzazione culturale e mutazione della domanda
La spesa culturale interna crolla (-34,6%), mentre l'Italia diventa piattaforma esperienziale di consumo simbolico per 20 milioni di viaggiatori stranieri. La cultura evolve in dispositivo immersivo e turistico, non in infrastruttura formativa o cognitiva.

10. Società della longevità e riscrittura del ciclo di vita
Gli over 65 sono il 24,7% della popolazione, l'aspettativa di vita sfiora gli 85 anni e i centenari raggiungono quota 23.548. La longevità diventa infrastruttura antropologica e macroeconomica: i senior non si configurano più come fase terminale ma come segmento attivo, portatore di risorse e capitale intergenerazionale.

 

L'Italia opera in un contesto di disordine sistemico, dove la razionalità economica non è più motore principale. Debito, demografia, erosione produttiva, crisi della rappresentanza e mutazione culturale delineano un Paese in transizione irreversibile. Non si assiste a collasso, ma a ri-ingegnerizzazione strutturale: società post-welfare, potere geopolitico deterritorializzato, mercato del lavoro senilizzato, industrializzazione orientata alla difesa e capitale sociale in ridefinizione.
La traiettoria non è regressiva: è mutagena. La sfida è governarla, non negarla.