Nei corridoi della politica italiana circola un commento pungente: «A destra con l’oro ci ricascano sempre». Il riferimento è evidente. Un tempo fu Benito Mussolini a imporre agli italiani di donare le proprie “gioie” per sostenere la Patria; oggi, secondo alcuni, Giorgia Meloni rischia di cadere nello stesso schema, seppur con strumenti molto diversi.

La polemica nasce da una possibile misura allo studio dell’esecutivo: una tassazione agevolata al 12,5% – invece dell’attuale 26% – per chi sceglie di rivalutare oro, lingotti, monete o placchette. L’obiettivo dichiarato sarebbe favorire l’emersione di beni mai dichiarati e trovare risorse utili a coprire le modifiche alla legge di Bilancio. Secondo le simulazioni tecniche, anche solo un’adesione del 10% porterebbe fino a due miliardi di euro nelle casse dello Stato.

È una proposta parlamentare della stessa maggioranza ad aver riportato l’idea sul tavolo. Il testo è già pronto per diventare emendamento, completo di relazione illustrativa. La procedura prevista è semplice: i contribuenti che al 1º gennaio 2026 possiedono oro da investimento senza documentazione sul costo d’acquisto potranno chiedere una rivalutazione fiscale entro il 30 giugno 2026.

Il problema? Per la stragrande maggioranza degli italiani “oro da investimento” significa ben altro rispetto ai lingotti delle banche. Parliamo di piccoli gioielli familiari, spesso eredità di nonni e genitori: le classiche sterline d’oro regalate alle comunioni, le fedi di un tempo, qualche collanina d’oro finita in un cassetto e mai apparsa in un inventario o in un testamento. È qui che scatta il malumore: molti temono una sorta di caccia al tesoretto domestico.

Il parallelo storico, per quanto esagerato, emerge spontaneo. Le iniziative sul “metallo giallo” sembrano sempre spuntare a fine anno, come ricorda uno storico citando il 18 dicembre 1935: la famigerata “giornata della fede”. Quel giorno migliaia di italiani furono spinti a sfilarsi l’anello nuziale per consegnarlo al regime. E la memoria popolare conserva episodi grotteschi e rivelatori. In una città del Nord, ad esempio, una donna riconobbe la sua preziosa spilla – donata al regime – appuntata sul cappotto dell’amante del podestà. Ne seguì una scenata memorabile, uno schiaffo “da donna a donna” e la restituzione immediata del gioiello. Con buona pace del gerarca, pubblicamente ridicolizzato.

Oggi non siamo certo in quel contesto. Non c’è coercizione né propaganda di regime. Ma il fatto che una misura fiscale sull’oro scateni memorie così vive dice molto sul governo Meloni.