L’ideologia One People – Io Sono nasce nella stessa corrente dei sovereign citizens, un movimento sviluppatosi tra Stati Uniti e Canada nei primi anni 2000. Al centro c’è l’idea che ogni individuo sia “sovrano” e non debba riconoscere leggi, documenti, tasse o istituzioni dello Stato. Secondo questa visione, ogni obbligo civile — dall’anagrafe alla scuola, fino alle cure mediche — sarebbe solo una “finzione” imposta dai governi, e chi si risveglia alla propria “vera natura” può smettere di aderirvi.
È un miscuglio di spiritualità, autosufficienza estrema, anti-autoritarismo e convinzioni complottiste. La diffusione in Europa avviene soprattutto attraverso social, gruppi chiusi e canali dove circolano manuali e “istruzioni” su come svincolarsi completamente dallo Stato. Finché rimane un’idea filosofica, resta una stravaganza; quando però diventa uno stile di vita totale, può creare problemi seri, soprattutto se ci sono dei bambini.

Ed è precisamente quello che è accaduto ad Arezzo, nel comune di Caprese Michelangelo, dove vivevano Harald e Nadia, una coppia che seguiva i principi di One People. Avevano scelto una vita completamente isolata nei boschi, lontani dal paese. Niente registrazione all’anagrafe, nessuna iscrizione a scuola, nessun pediatra, nessun vaccino, nessun documento. I figli — 4 e 8 anni — venivano cresciuti con istruzione “alternativa” e medicina non convenzionale, mentre lo Stato era considerato una sorta di entità illegittima da tenere fuori dalla propria esistenza.
Per mesi i servizi sociali hanno provato a verificare la situazione dei bambini, ma la coppia ha respinto ogni controllo, ripetendo che lo Stato non aveva autorità su di loro. È proprio questo totale rifiuto di dialogo, combinato con l’assenza di istruzione e cure mediche, che ha fatto scattare l’allontanamento. Il Tribunale per i Minori di Firenze ha ritenuto che mancassero le condizioni minime di tutela e ha ordinato l’intervento. Durante il prelievo, il più piccolo è scoppiato in un pianto disperato: la scena ha fatto il giro dell’Italia, alimentando tensioni e polemiche.
Il caso di Caprese Michelangelo, in provincia di Arezzo, non è il primo. Negli ultimi anni l’Italia ha visto episodi simili: in Piemonte una famiglia viveva in una comunità rurale senza anagrafe né assistenza medica; in Veneto un’istruzione parentale totalmente priva di controlli aveva portato a bambini che non sapevano né leggere né scrivere; altri casi recenti hanno coinvolto gruppi pseudo-spirituali che rifiutavano vaccini, scuola e qualunque contatto con servizi sanitari.
In tutte queste situazioni, l’intervento non nasce per l’ideologia in sé, ma perché i minori vengono privati di istruzione, cure, sicurezza e protezione.
Le reazioni pubbliche e politiche al caso di Arezzo sono state immediate. Sui social si sono formati due schieramenti: chi difende la libertà educativa e chi sottolinea che i bambini non possono essere cresciuti fuori da ogni tutela minima. Alcuni hanno criticato il metodo dell’allontanamento, altri ricordano che è arrivato dopo mesi di tentativi falliti di dialogo.
Nel mondo politico, c’è chi chiede più controlli su movimenti antistato e comunità alternative, mentre altri invitano a non demonizzare l’istruzione parentale seria e regolamentata.
Tra gli esperti di tutela dei minori c’è un punto fermo: il problema non è vivere nei boschi o seguire spiritualità alternative, ma l’assenza totale di scuola, sanità, documenti e collaborazione con le istituzioni. Quando una famiglia si chiude al punto da impedire qualsiasi verifica, i rischi per i bambini diventano inevitabili.
Il caso di Arezzo è quindi uno specchio di un tema più grande: il confine fragile tra libertà familiare e responsabilità dello Stato nel proteggere i più piccoli. E probabilmente continuerà a far discutere ancora a lungo.


