Tra gli emendamenti alla manovra, c'è anche una modifica alla riforma degli affitti brevi, che arriva dopo le polemiche del leader leghista Matteo Salvini.
«Una tassa sciocca con un gettito minimo che lede l’iniziativa privata e la proprietà privata che inavvertita è entrata in manovra perché non ne abbiamo parlato. ... Quindi il destino è di venire cancellata tramite il voto parlamentare che è sovrano».

Sta di fatto che la nostra Costituzione (art. 44) prevede che  "la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge", ma anche che non è l'arbitrio di un padrone bensì la legge che "ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale".

Critico anche Antonio Tajani di Forza Italia che aveva annunciato la presentazione di emendamenti contro l’applicazione di quella aliquota, ma in termini diversi da Salvini.
La proposta di Forza Italia in manovra, infatti, prevede la cancellazione delle norme che portano dal 21% al al 26% l’aliquota per chi affitta un immobile per periodi di tempo limitati tramite piattaforme. Ma ne introduce anche una nuova ...
«L’aliquota di cui al primo periodo è ridotta al 21 per cento per i redditi derivanti dai contratti di locazione breve relativi all’unica unità immobiliare locata. In caso di locazione di due immobili si applica ad entrambi l’aliquota del 26 per cento».

In pratica l'emendamento, presentato dal senatore Roberto Rosso di Forza Italia, elimina giustamente le penalizzazioni verso chi è obbligato ad usare le tecnologie, visto che le 'piattaforme' dominano il mercato del booking. Un emendamento che viceversa introduce una sorta di  valore di attività produttiva maggiore per chi gestisce più appartamenti in B&B, cioè lo fa per mestiere.

Per capirci qualcosa di come uno Stato dovrebbe gestire questo business, cosa c'è da sapere?

Innanzitutto, va sottolineato che esiste una relazione statistica positiva tra l’aumento del numero di B&B e l’incremento del turismo in Italia. La crescita delle strutture alternative ha ampliato l’offerta ricettiva e ribassato i costi di pernottamento, cosa che contribuito ad attrarre un maggior numero di turisti, anche in aree meno battute.

Tuttavia, questa relazione è influenzata anche da altri fattori come la promozione turistica, la qualità delle destinazioni e, soprattutto, le politiche di settore.
Infatti, l'impianto che la Politica ha voluto dare al settore si struttura tra B&B come attività di impresa ma anche in B&B come attività familiare (attività di gestione domestica), riducendo de facto il potere dei Condomini di regolamentare o vietare e rendendo il comparto difficile da monitorare e tassare correttamente da parte delle Forze dell'ordine e dall’Agenzia delle Entrate.
Basta dire che non è necessaria neanche la residenza sul territorio e che, in alcuni casi, neanche la partita iva, come anche che in alcuni comuni non è neanche necessaria la comunicazione di inizio attività.

In secondo luogo, l' "interesse nazionale" verso gli affitti brevi è certamente che il comparto si sviluppi, ma non che generi bolle speculative.

La bolla speculativa più scottante deriva dal fatto che molte abitazioni sono state convertite in B&B o case vacanze, contribuendo a una carenza di alloggi per i residenti e a un aumento dei costi di affitto e di acquisto immobiliare, a danno della disponibilità di affitti normali per i cittadini. 

La bolla speculativa più allarmante, però, deriva dal fatto che il valore degli immobili nei centri storici si alimenta del boom dei B&B che a loro volta spesso sono frutto di investimenti gravati da mutui, a loro volta sostenuti dal valore degli immobili. 
In questa dinamica, l’aumento dei prezzi degli immobili aumenta il valore delle B&B, incentivando nuovi investimenti e mutui basati su questi valori elevati.
Tuttavia, se il mercato dovesse rallentare o scoppiare, questa bolla dei valori immobiliari potrebbero crollare, lasciando molti investitori con mutui o immobili svalutati, riduzione dell’offerta di abitazioni per i residenti e instabilità nel mercato immobiliare dei centri storici.

Intanto, i dati disponibili al momento sono esaltanti per chi ci lucra, ma allarmanti per il resto della nazione.

Secondo i dati del Ministero del Turismo e dell’ISTAT, nel 2022, si stimava che ci fossero oltre 50.000 strutture registrate come imprese in Italia, con un incremento annuo medio del 5-7%.

Secondo un rapporto di Assoturismo e Airbnb, nel 2022 si stimava che in Italia ci fossero complessivamente circa 150.000 unità immobiliari dedicate agli affitti brevi, principalmente concentrate in grandi città come Roma, Milano, Firenze, Venezia e Napoli. Roma, ad esempio, conta oltre 20.000 appartamenti registrati per affitti turistici, con un incremento del 15% rispetto all’anno precedente.

Secondo uno studio di Nomisma, in alcune città come Venezia e Firenze, il valore delle proprietà destinate all’affitto turistico nel 2022 è aumentato del 20-30% rispetto al 2019. La bolla è alimentata anche da investitori stranieri e fondi immobiliari, i quali vedono nel mercato degli affitti brevi un’opportunità di profitto immediato.

Secondo dati di Immobiliare.it, tra il 2019 e il 2023 i prezzi degli affitti a lungo termine sono aumentati mediamente del 10-15%, con punte del 20% nelle aree più turistiche. In alcune città, come Venezia, l’aumento dei prezzi degli affitti ha portato a una diminuzione del 20% delle case disponibili per affitti a lungo termine, contribuendo a una scarsità di disponibilità e a un aumento dei canoni.

Nella sostanza, la legge italiana, in particolare con il decreto legge n. 14/2017 (governo Gentiloni), ha autorizzato le attività di gestione di strutture ricettive con procedure molto semplificate e non poteva fare molto altro, visto che si trattava di un settore nascente. 
Il problema è che, otto anni dopo, specialmente con i dati che dal 2022 descrivono una bolla speculativa da 'tempesta perfetta', si parla solo di qualche "percento", mentre servirebbero  un censimento capillare e qualche nuovo comma bis da aggiungere alle attuali regole.