L’Italia deve smettere di rinviare una riorganizzazione seria dell’assistenza domiciliare per le persone non autosufficienti. L’ultimo rapporto OCSE Towards a structured and systemic integration of home care for the non-self-sufficient in Italy (novembre 2025) lo dice senza mezzi termini: la domanda cresce rapidamente, ma il sistema resta fragile, frammentato e incapace di garantire livelli adeguati di cura.
Un Paese sempre più anziano e sempre più fragile
L’Italia invecchia più velocemente del resto d’Europa. A inizio 2025 gli over 65 erano il 24,7% della popolazione e gli over 80 l’8%. Le proiezioni per il 2050 non lasciano spazio a interpretazioni: 37% e 15% rispettivamente.
Già oggi, tra gli over 65:
- il 13,7% ha almeno una limitazione nelle attività della vita quotidiana (ADL),
- il 15,9% in quelle strumentali (IADL).
Segnali chiari di una non autosufficienza in crescita e di un carico sempre più pesante sull’assistenza territoriale.
Copertura ampia, intensità minima: il nodo ADI e SAD
L’Italia offre un’ampia copertura formale dei servizi domiciliari, ma la quantità effettiva di assistenza erogata è sorprendentemente bassa. Nel 2023 un anziano non autosufficiente seguito dall’ADI ha ricevuto in media:
- 9 ore di assistenza infermieristica all’anno,
- 3 ore di riabilitazione,
- 2 ore da altre figure.
Appena 14 ore annue in totale. Una cifra che, messa a confronto con altri Paesi europei, appare poco più che simbolica. E la situazione peggiora guardando alle disuguaglianze regionali: accesso, tempi, tipologia delle prestazioni e costi cambiano drasticamente a seconda del territorio.
Un sistema ancora troppo spezzettato
L’OCSE punta il dito contro una frammentazione ormai cronica:
- separazione rigida tra sanità (SSN) e servizi sociali comunali,
- regole e criteri di accesso difformi,
- modalità di finanziamento incoerenti.
A tutto ciò si aggiunge un problema non secondario: mancano dati integrati e confrontabili. Le informazioni disponibili riguardano soprattutto la copertura, mentre quasi nulla si sa su qualità, esiti, continuità e appropriatezza dei servizi. In questo contesto, pianificare interventi basati su evidenze diventa impossibile.

La proposta dell’OCSE: ricomporre ciò che esiste
L’Organizzazione non auspica una riforma centralizzatrice né l’ennesima stagione di progetti sperimentali. Suggerisce invece una ricomposizione strutturata del sistema, attraverso alcuni pilastri chiari:
- Accesso unico ai servizi domiciliari e valutazione integrata.
- Progetto Assistenziale Individuale (PAI) definito a livello nazionale, che metta insieme interventi sanitari, sociali e riabilitativi.
- Team multidisciplinari responsabili dell’intero percorso.
- Finanziamento integrato tra fondi sanitari, sociali e sostegni alle famiglie.
- Sistemi informativi interoperabili con indicatori uniformi.
- Riconoscimento del ruolo dei caregiver familiari, oggi indispensabili ma poco tutelati.
- Non un cambio totale di paradigma, ma un lavoro di armonizzazione che renda coerente ciò che già esiste.
Personale insufficiente: un rischio concreto
La carenza di personale è già evidente: infermieri, fisioterapisti e OSS non bastano nemmeno per la domanda attuale. L’OCSE è molto chiara: senza programmazione nazionale e formazione specifica, l’assistenza territoriale rischia di crollare sotto il peso dell’invecchiamento demografico.
Serviranno nuovi profili professionali e un riequilibrio deciso tra ospedale e territorio.
Tecnologia sì, ma con regole comuni
Telemedicina, monitoraggio remoto, piattaforme digitali, comunicazioni integrate: gli strumenti ci sono e possono realmente migliorare la continuità assistenziale e ridurre i ricoveri evitabili. Ma senza standard nazionali e interoperabilità, nasceranno solo soluzioni locali che non dialogano tra loro. L’OCSE avverte: così sarebbe l’ennesima occasione sprecata.
Serve una strategia, non interventi spot
L’Organizzazione chiude con un messaggio netto: l’Italia deve smettere di muoversi a colpi di iniziative isolate e adottare una strategia unitaria. La riforma della non autosufficienza del 2023 viene considerata un buon inizio, ma insufficiente se non accompagnata da un reale coordinamento tra livelli istituzionali e da un’integrazione piena dei servizi domiciliari.


