Nel nostro tempo si percepisce un rumore di fondo che attraversa tutta la società e dentro questo "rumore" le voci di libertà e democrazia appaiono spesso isolate e marginalizzate, ma sono le uniche che meritano di essere ascoltate con attenzione e cura.
Come sottolinea Norberto Bobbio, “la libertà è un bene che si difende, si protegge, si amplifica” (Bobbio, Il futuro della democrazia, 2001). Un tema di cruciale attualità: i rischi e i benefici della rivoluzione tecnologica e il suo rapporto con il potere.
È proprio per questo che chi, come noi, si occupa di informazione e cultura ha il dovere di sostenere, proteggere e amplificare queste voci, mentre guerre, radicalismi, intolleranze e manipolazioni digitali diventano sempre più elementi costanti che segnano il panorama contemporaneo.
Questa difesa della libertà si concretizza in Italia nella recente pubblicazione di "Careless People" (link), in cui un’ex dipendente di Meta, denuncia la spregiudicatezza del fondatore Mark Zuckerberg e le conseguenze di un modello aziendale senza limiti etici (Wynn-Williams, Careless People, 2022).
Attualmente, le prime cinque BigTech – Nvidia, Microsoft, Apple, Alphabet e Amazon – hanno raggiunto un valore di mercato superiore al PIL dell’area euro, come evidenziato da diversi analisti (Bloomberg, 2023).
Tuttavia, ridurre tutto a una dimensione economica è riduttivo: il potere di questi colossi va ben oltre i numeri, minacciando le fondamenta della società democratica.
La loro capacità di rifiutare le regole, che sono la base di qualsiasi sistema sociale funzionante, rappresenta una sfida seria. In Italia, ad esempio, le piattaforme occupano circa un trentesimo dei lavoratori del settore dei media tradizionali, ma controllano oltre il 60% del mercato pubblicitario globale, come evidenziato da OsservaItalia (2022).
Questo rappresenta una concorrenza sleale e diseguale, come descrive Sarah Wynn-Williams nel suo saggio, dove definisce queste aziende come “Careless People”, persone che “se ne fregano” delle regole e della concorrenza leale.
Del resto, Jacques Ellul , in La società tecnologica (1954), già negli anni ’50 aveva lanciato un monito verso una tecnologia capace di progredire autonomamente, senza intervento umano, in un processo di automazione che anticipava il nostro presente: “la tecnologia si sviluppa come un organismo vivente, spesso indipendente dalla volontà umana”.
Per fronteggiare questi squilibri, l’Unione Europea ha varato, tra il 2016 e il 2024, il cosiddetto Digital Package, ovvero un pacchetto di norme e strumenti tesi a tutelare gli utenti e garantire un mercato digitale più equo. Tuttavia, secondo alcuni, come Donald Trump, queste misure dovrebbero essere smantellate perché rappresentano un ostacolo al progresso e al profitto.
In realtà, come sottolinea anche l’economista Mariana Mazzucato, “un mercato libero e innovativo è possibile solo se si basa su regole eque e giuste” (Mazzucato, The Value of Everything, 2018). La sfida è quella di mantenere un equilibrio tra innovazione e tutela dei diritti, evitando che le concentrazioni di potere si trasformino in monopoli incontrollati.
Le piattaforme digitali, diversamente dai media tradizionali, prosperano in un ambiente di “far west” dove nessuno si assume responsabilità per i contenuti pubblicati, e l’obiettivo principale sono i clic e le visualizzazioni.
Questo ha portato all’esplosione di fake news, linguaggio d’odio e rifiuto delle opinioni diverse, contribuendo alla polarizzazione sociale e politica. Come osserva l’antropologo Jean Baudrillard, “la realtà si dissolve in una simulazione perpetua” (Baudrillard, Simulacri e Simulazioni, 1981).
Negli Stati Uniti, il legame tra politica e BigTech è evidente e porta vantaggi considerevoli, come evidenziato dal CEO di Palantir, Alexander Karp, nel suo La Repubblica Tecnologica (2022).
Le grandi aziende tecnologiche forniscono finanziamenti e dati di miliardi di persone in cambio di un sistema normativo favorevole, creando un rapporto di convenienza che può influenzare le scelte politiche e sociali.
Ad esempio il “Progetto Alamo” del 2016, in cui Facebook rese disponibili i dati di acquisto, localizzazione e comportamenti di oltre 220 milioni di americani, in modo da meglio indirizzare la campagna elettorale di Donald Trump (Wynn-Williams, Careless People, 2022).
È evidente che questi giganti della tecnologia non sono più semplici aziende private, ma attori politici di fatto, con un potere che supera le tradizionali dinamiche di influenza democratica.
La loro capacità di passare dal wokismo al trumpismo dimostra come siano in grado di adattarsi alle polarizzazioni, mantenendo un controllo sull’opinione pubblica.
Questa situazione mette a rischio le fondamenta della libertà e della democrazia, che si trovano minacciate dalla polarizzazione e dall’intolleranza alimentate dall’uso indiscriminato delle piattaforme digitali.
Come afferma Jacques Ellul, “non possiamo più mettere l’essere umano da una parte e gli strumenti dall’altra”: la rivoluzione digitale è ormai parte integrante di ogni nostro gesto quotidiano (Ellul, La società tecnologica, 1954).
La tecnologia ha migliorato molteplici aspetti della nostra vita, portandoci a barattare comodità e dati personali, spesso sottovalutando le conseguenze dirompenti di questa dipendenza. La domanda principale diventa allora: cosa possiamo fare?
È compito dei regolatori garantire norme eque, e della politica impedire eccessive concentrazioni di potere, ma anche gli editori e i cittadini devono contribuire a capire come funziona questo “treno” e dove sono i punti più pericolosi.
Una provocazione potrebbe essere questa: in un’epoca dominata dall’ideologia del “muoviti veloce e rompi tutto” (Zuckerberg, 2014), non si potrebbe riscoprire la forza lenta e costruttiva dei libri?
I libri sono da sempre anticorpi contro barbarie e totalitarismi e oggi, più che mai, diventano strumenti di resistenza contro l’omologazione digitale e la perdita del pensiero critico.
Come nel romanzo Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (1953), dove i libri vengono bruciati perché custodi di memoria e dissenso, anche oggi il ruolo del libro rimane fondamentale: ci rende più critici, più consapevoli e meno vulnerabili alla manipolazione.
Nota di redazione: il presente testo è liberamente ispirato alla lettera al Corriere della sera (link) da parte di Marina Berlusconi, editrice italiana di "Careless People".
"Anche nel regime digitale, c’è sempre bisogno del racconto di un buon libro: ci rende più critici e consapevoli, meno vulnerabili alla manipolazione. La responsabilità principale di chi fa il mio mestiere, in fondo, sta tutta qui». (Marina Berlusconi - 2025)

