Sono in atto situazioni pericolose che minacciano la stabilità mondiale: in Europa, in Medio Oriente, in Sudamerica e in Africa: in tutte si delineano chiaramente macroscopiche e sistematiche violazioni del diritto internazionale e degli elementari principi morali e umanitari che non possiamo ignorare e che richiedono un esame di coscienza onesto - per questo doloroso - sia personale che collettivo. Dobbiamo riappropriarci del reale significato dei termini democrazia e terrorismo perché di questi se ne abusa e/o se ne fa un uso improprio per manipolare situazioni e giustificare comportamenti indegni al fine di ottenere il più vasto consenso sociale.  

Gli strumenti più efficaci sono i media e la rete internet che possono incidere a livello psicologico molto profondamente e che mirano ad imporre il pensiero unico attraverso la soppressione delle diverse opinioni, delle idee e delle proposte alternative per appiattire la capacità critica dell’individuo in una illusoria organicità e false certezze. 

 Come si può combattere la cattiva coscienza del potere più o meno occulto che sta sconvolgendo le vite di milioni di esseri umani deprivati dei loro diritti, della loro dignità. ridotti a merce e convincere la maggior parte dell’opinione pubblica a considerare la loro eliminazione come un danno collaterale o peggio un pericolo? 

C’è una frase pronunciata dal cancelliere tedesco che legittima l’aggressione israeliana all’Iran infatti Friedrich Merz ha definito l’attacco: “(…) un lavoro sporco fatto per tutti noi. Valutiamo la partecipazione alla campagna militare contro l’Iran”. Continua manifestando pubblicamente: “(…) massimo rispetto per quello che sta facendo il governo Netanyahu". Questo dimostra un esplicito appoggio politico del governo tedesco all'attacco militare all'Iran, un Paese sovrano e non belligerante e al programma israeliano di pulizia etnica ai danni del popolo palestinese. Non solo, manifesta l’apertura ad una possibile partecipazione della Germania ad un futuro conflitto contro l’Iran. Come si potrebbe considerare la scelta tedesca di entrare in guerra indipenentemente dagli altri Pesei membri dell'EU e della NATO.

Le affermazioni sopra riportate sono contenute in un’intervista rilasciata durante il vertice dei G7 in Canada alla ZDF e a Politico che sono indice di una mentalità obsoleta che vuole legittimare l’uso della guerra preventiva come strumento di politica internazionale all’appannaggio esclusivo dell’Occidente. 

A questo punto dobbiamo chiederci che senso ha il termine “democrazia” quando la si relaziona con l’applicazione del Diritto internazionale e il rispetto delle norme a tutela dei diritti umani in tutti i Paesi del mondo; quando gli stati occidentali, ipocritamente democratici, delegano tacitamente ad un paese alleato di “fare il lavoro sporco” al loro posto legittimando pubblicamente la “guerra per procura”. 

La nostra Costituzione democratica ripudia la guerra e il militarismo, in questo momento così delicato dovremmo tutti pretendere il rispetto di tali principi invece i vertici politici e militari della nostra nazione  apprezzano con gratitudine il lavoro sporco giustificandolo e sollevandolo da ogni responsabilità morale e giuridica rendendo impunibile chi ha eseguito un atto ritenuto “necessario” per conto terzi: Merz ha parlato anche a nome degli alleati occidentali altrimenti non sarebbe stato così esplicito, su questo non c’è ombra di dubbio, lo ha dimostrato la reazione generale della maggior parte dei membri dell’EU di critica alla spedizione delle 44 barchette della Sumud Flotilla.  

Chi ha il diritto di decidere chi può vivere su di un territorio e chi no? Chi ha il diritto di attaccare un paese non belligerante e le sue proteste rimanere inascoltate? Chi ha il diritto di decidere chi deve vivere e chi deve morire?

La protagonista in assoluto in queste squallide operazioni settoriali e distruttive è una struttura economica criminale che accumula immense fortune disseminando conflitti e carestie e dallo sfruttamento delle risorse naturali, dall’inquinamento dell’ambiente, dall’impiego del lavoro povero e, soprattutto dall’evasione fiscale. 

La produzione e il traffico di armi è una “vena d’oro” inesauribile dalla quale attingono soprattutto i paesi occidentali.  

Chi fornisce principalmente di armi l’esercito israeliano sono gli Stati Uniti per il 66%, segue la Germania per il 33% e, fanalino di coda, l’Italia con l’1%: qui si parla di cifre comunque  colossali.

In particolare la Germania dopo aver puntato sul green, si riconsacra alla guerra, la sostiene e ne trae profitto quando dovrebbe ricordarsi per ciò che ha fatto quando ha attaccato tutta l’Europa – insieme agli italiani - creando un conflitto mostruoso che è costato milioni di morti: la Russia ha perso 28 milioni di suoi cittadini per il folle programma espansionistico tedesco ecco perché costituì il Patto di Varsavia. Quando Gorbaciov chiese all’Occidente di bloccare la costruzione di armi nucleari e di costituire nuovi e pacifici rapporti con i Paesi europei occidentali questa aspirazione di fatto fu tradita e usata per danneggiare il suo Paese, isolarlo e smembrarlo. La mentalità obsoleta dei membri della NATO dichiararono trionfalmente che l’Unione Sovietica aveva perso la guerra fredda considerandola una preda da sfruttare: ed è ciò che hanno fatto creando le premesse per un inevitabile scontro. 

Il conflitto ucraino è stato determinato dalla politica estera americana a guida democratica con la partecipazione attiva degli alleati NATO, ma cambiando padrone cambiano gli obiettivi e quello che era stato deciso nel passato attualmente non ha più valore. A mio avviso, emerge il ruolo estremamente discutibile assunto dai membri europei della NATO nella preparazione dell’attuale conflitto tra Ucraina e Russia: il motivo è puramente economico. La vendita di gas, petrolio e altre preziose materie prime all’EU da parte della Russia avrebbe portato ad una cooperazione tra le parti e alla conseguente formazione di un blocco economico, politico e militare estremamente competitivo nei confronti degli Stati Uniti.

Gaza ha gli stessi squallidi connotati più sfacciatamente manifesti: l’occupazione territoriale attraverso un genocidio eseguito alla luce del sole, senza alcun pudore ed impunemente testimonia la ricerca di nuove frontiere per il facile guadagno del sistema multinazionale occidentale, lo testimoniano i rapporti depositati dalla relatrice ONU Francesca Albanese che continuano a suscitare risentimento da parte di coloro che sono coinvolti nella “sporca faccenda”.

La risoluzione 2803, che contiene il “piano di pace” proposto da Trump per Gaza, approvata il 17 novembre scorso dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu con 13 voti favorevoli e l’astensione di Russia e Cina dimostra che chi decide la soluzione dei conflitti non sono le parti in causa ma le grandi potenze.  

Ciò che mi ha colpito particolarmente è il profilo economico finanziario di Israele infatti secondo un'indagine di Investigate Europe e Reporters United, di fatto, l'Ue avrebbe ammesso la greca Intracom Defense, di proprietà quasi integralmente della più grande compagnia pubblica di armamenti israeliana, la Israeli Aerospace Industries, a 15 progetti finanziati dal Fondo europeo per la Difesa. Una dichiarazione di Benjamin Netanyahu, delinea un profilo inquietante dei futuri programmi economici e militari di Israele che deve iniziare a produrre le proprie armi e diventare una “Super Sparta” autosufficiente, ma, prevedo che questo lo porterà a vivere nel completo isolamento.

Ma non è solo una questione di forniture di armi ma anche di un sistema economico molto ben integrato in quello mondiale occidentale. 

Di seguito ho inserito un breve elenco di imprese che hanno interessi in comune molto stretti con l’economia israeliana attraverso dei partenariati:

  • HP (Hewlett-Packard) fornisce tecnologia e supporto logistico al governo israeliano, all'esercito e alle istituzioni penitenziarie. 

  • Intel ha una fabbrica di semiconduttori a Kiryat Gat

  • Coca-Cola sostiene lo stato di Israele dal 1966

  • Nestlé possiede il 50,1% di Osem, una catena alimentare israeliana. 

  • Estée Lauder ha investimenti in Israele e il suo consiglio di amministrazione include il presidente di una potente organizzazione sionista, il Fondo Nazionale Ebraico.  

  • Puma è oggetto di una campagna di boicottaggio a causa delle sue sponsorizzazioni.  

  • Teva Pharmaceuticals è un'azienda farmaceutica israeliana che si dice tragga vantaggio dall'occupazione dei territori. 

  • Starbucks sponsorizza raccolte fondi per Israele. 

  • L'Oréal ha investito nella creazione di un'unità produttiva a Migdal Haemeck. 

È straordinario come un piccolo paese del Medio Oriente come Israele possa intrattenere rapporti economici con società così importanti, cosa che, ad esempio, non è accaduta in Italia anzi, tutto il patrimonio pubblico è stato svenduto e saccheggiato dagli “alleati e membri” dell’EU allo scopo di sottrarre mercato e far chiudere molte imprese creando disoccupazione, povertà e facendo aumentare le disuguaglianze nel nostro Paese. 

Tornando al piano di pace, lo storico Lorenzo Kamel lo definisce un “brutto giorno per la sicurezza a lungo termine dello Stato di Israele, per l’autodeterminazione palestinese e più in generale anche per le tante persone perbene che ci sono nel nostro mondo” inoltre critica il voto che “(….) rimescola gli equilibri della regione e affida a Donald Trump il controllo della Striscia per due anni attraverso un organismo dai contorni indefiniti” riferendosi poi al “Consiglio di Pace” i cui membri saranno scelti direttamente dal presidente statunitense, evidenzia la natura “talmente vaga e talmente arbitraria” del testo, privo di riferimenti alle risoluzioni precedenti e agli accordi che negli ultimi decenni hanno definito il quadro negoziale israelo-palestinese.

Nessun cenno agli Accordi di Oslo, che stabiliscono l’unità territoriale di Gaza e Cisgiordania; nessun richiamo alla risoluzione 476 del 1980, con cui il Consiglio di Sicurezza aveva ribadito che l’acquisizione di territori con la forza è inammissibile.   L’ANP nasce dagli Accordi di Oslo del 1993-1995: ne derivano i suoi poteri, la sua legittimità, il suo finanziamento e la sua sopravvivenza amministrativa. “(…) Uno scenario che richiama quello della Cisgiordania dopo il 1967: un’occupazione temporanea, si fa per dire, destinata a protrarsi nel tempo. Oltre il 53% della Striscia di Gaza è occupato dalle autorità israeliane, che comprende la parte più fertile e agricola. La zona sabbiosa e meno produttiva rimane ai palestinesi.”

Il professor Kamel lega questo quadro alle dinamiche in Cisgiordania, definite dagli Accordi di Oslo II del 1993 infatti le aree A e B, frammentate in 165 isole amministrative, rappresentano poco più del 40% del territorio e resterebbero sotto controllo palestinese; l’area C, il restante 60%, è la porzione strategica: risorse idriche, terra fertile, spazio per gli insediamenti ecco perché i palestinesi  vengo costretti con la forza a lasciare le loro case e le loro terre e i coloni attaccano la popolazione civile.  

Se personaggi come Bezalel Smotrich continueranno a guidare la linea del governo israeliano Israele tenterà di “smuovere il più possibile e di espellere la popolazione nella zona sabbiosa costiera di Gaza, mentre la porzione vitale dal punto di vista agricolo, idrico e strategico rimane sotto controllo israeliano”.

Inoltre, a Gaza sul territorio sottratto ai palestinesi, gli USA hanno in programma la costruzione di un base militare per “accogliere” le forze armate internazionali che avrebbero il compito di vegliare sul rispetto della tregua. Un altro programma edilizio comprende alloggi destinati ad accogliere i palestinesi e intanto l’esercito israeliano continua ad abbattere le case degli sfollati. Continua la costruzione in blocchi di cemento tinti di giallo per delimitare la zona israeliana da quella palestinese dividendo il territorio in due parti rendendo così irrealizzabile la speranza di uno stato palestinese. Ovviamente non possiamo dimenticare la speculazione edilizia che intende trasformare la Palestina in un complesso residenziale per ricchi che ha determinato la scelta del territorio palestinese come zona appetibile per una macroscopica operazione di speculazione edilizia.  In questa situazioni non si distingue il confine dove termina la democrazia e inizia il terrorismo. 

Per il popolo palestinese questo significa essere un “ospite indesiderato” in casa propria.