Mentre la comunità internazionale continua a riempirsi la bocca di parole come "diritti umani" e "democrazia", nelle carceri israeliane si consuma l'ennesimo capitolo di un sistema repressivo che non conosce vergogna. A raccontarlo sono le testimonianze di due donne palestinesi, Amani al-Najjar e Masa Ghazal, detenute e trattate come oggetti da zittire, non come esseri umani.

Amani al-Najjar, 41 anni, madre di cinque figli e insegnante di inglese, viene convocata da un ufficiale israeliano e invitata a presentarsi al checkpoint di Zif. Lei obbedisce. Appena arrivata viene arrestata, ammanettata, trasferita da un centro di detenzione all'altro come un pacco indesiderato: Kiryat Arba, poi la famigerata Moscobiya, 22 giorni di interrogatori, e infine le prigioni di Ramla, Sharon e Dabou n (Damon). In ciascuna di queste tappe, un filo conduttore: umiliazione, freddo, isolamento, assenza di cibo adeguato. Al "mitico" centro di Sharon, viene rinchiusa in una cella minuscola, sotto il controllo delle telecamere, senza acqua né cibo, con una coperta talmente sottile da procurarle dolori alla schiena. Nel carcere di Damon, la situazione peggiora: razioni di cibo insufficienti, punizioni per qualsiasi rumore, persino per una risata. Parlare? Proibito. Ridere? Reato. Esistere? Tollerato solo in silenzio.

Stessa storia per Masa Ghazal, 23 anni, di Nablus. I soldati fanno irruzione nella sua casa all'una e mezza di notte, volto coperto e fucile spianato. Lei è in abiti da preghiera, non può nemmeno vestirsi. Bendata, ammanettata e trascinata fuori nel freddo. Prima a Huwara, poi ad Ariel, dove resta seduta a terra, legata, mentre viene interrogata. E infine Sharon e Damon: insulti, minacce, perquisizioni, cibo gettato a terra, tè rovesciato addosso. La colpa? Aver inciso i loro nomi sul muro della cella. Risultato: una settimana senza uscire all'aria aperta. Nel frattempo, Masa perde 20 chili per la pessima qualità del cibo. Ma certo, tutto rientra nelle "procedure standard".

E l'Europa? Le Nazioni Unite? Quel famoso "diritto internazionale"? Silenzio. Si indignano per molto meno quando conviene, ma quando 50 donne sono rinchiuse nel carcere di Damon tra freddo, insulti e alimentazione insufficiente, allora cala il sipario. Nessuna condanna, nessun atto concreto. Solo la solita diplomazia sterile, fatta di comunicati stampa che non salvano nessuno.

Sui media italiani titoli di prima pagina per delle scritte contro gli ebrei... SCRITTE!!! Ma degli ebrei israeliani che rapiscono e torturano civili palestinesi, donne e in alcuni casi anche minori, non parlano... non dicono niente... come se tutto ciò fosse normale.

La verità è che ciò che accade in queste prigioni non è un incidente, ma un sistema. Un meccanismo studiato per spezzare psicologicamente, togliere dignità e trasformare esseri umani in numeri. E se non dà fastidio al mondo, è solo perché il mondo ha scelto di non guardare.