Con la sentenza n. 132 del 25 luglio 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze sull’articolo 579 del codice penale, che disciplina l’omicidio del consenziente. Il nodo centrale della vicenda riguarda una persona affetta da sclerosi multipla avanzata, impossibilitata a procedere in autonomia al suicidio medicalmente assistito per via della totale perdita dell’uso degli arti.
Il contesto
La paziente in questione si trova in una condizione clinica che soddisfa i criteri stabiliti dalla storica sentenza n. 242 del 2019 della stessa Corte, che ha aperto la possibilità al suicidio medicalmente assistito in presenza di precise condizioni di salute. Tuttavia, a causa della progressione della malattia, non è più in grado di autosomministrarsi il farmaco letale, né sono reperibili sul mercato dispositivi che consentano un’attivazione autonoma tramite bocca, occhi o voce.
A fronte di ciò, la paziente ha presentato ricorso d’urgenza per chiedere che venisse riconosciuto il proprio diritto di autodeterminazione, anche attraverso l'intervento attivo di terzi nella somministrazione del farmaco. Il Tribunale di Firenze ha quindi sollevato la questione di legittimità dell’articolo 579, ritenendo irragionevole e discriminatoria la punibilità di chi aiuti un paziente impossibilitato ad agire in autonomia, pur in presenza di tutti i requisiti previsti per accedere alla procedura.
La decisione della Corte
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, non entrando quindi nel merito della questione, perché – in parole povere – il Tribunale non ha fatto abbastanza per accertare se davvero non esistano strumenti in grado di garantire l’autosomministrazione anche in condizioni di grave disabilità.
La motivazione è netta: il giudice fiorentino si è limitato a riportare le risposte ottenute dall’azienda sanitaria locale, basate su semplici ricerche di mercato. Secondo la Corte, era invece necessario un approfondimento tecnico-scientifico con il coinvolgimento di organismi centrali autorevoli, come l’Istituto superiore di sanità. Solo un’indagine seria e sistematica avrebbe potuto fondare la legittimità della questione sollevata.
Diritti e limiti
Nonostante l’inammissibilità, la Corte ribadisce alcuni punti chiave: la persona che ha diritto al suicidio medicalmente assistito ha anche diritto a essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale lungo il percorso, incluso il reperimento – se esistenti – dei dispositivi necessari per compiere l’atto in modo autonomo.
In altre parole, se una soluzione tecnica esiste, il sistema sanitario deve fornirla. Ma se si vuole aprire la porta alla somministrazione da parte di terzi – andando quindi oltre il perimetro fissato dalla sentenza 242/2019 – allora serve una base più solida e una verifica rigorosa.
La sentenza non nega il problema, ma ne rinvia l’esame, chiedendo maggiore rigore al giudice che intende sollevare dubbi di costituzionalità. Il caso rimane emblematico di quanto il tema del fine vita, e in particolare del suicidio assistito per persone con disabilità gravissime, sia ancora un terreno fragile, in cui il confine tra diritto, medicina e giurisprudenza resta tutto da esplorare.


