Economia

Finanziaria: sulle Pensioni si gioca la credibilità del Governo Meloni!

La manovra finanziaria entra nella sua settimana più delicata, quella in cui la politica deve piegare il rigore dei conti pubblici alle aspettative degli italiani, o viceversa.

Questi giorni, infatti, saranno cruciali per la manovra, e soprattutto per il capitolo che più di ogni altro concentra attese, timori e tensioni politiche: le pensioni.

Mentre al Senato procede la selezione degli emendamenti e la maggioranza prepara l’ennesimo vertice per trovare un equilibrio entro i rigidi paletti dei saldi invariati, è proprio il futuro previdenziale degli italiani a imporsi come asse centrale del dibattito.

L’innalzamento dell’età pensionabile – oggi fissata a 67 anni e 3 mesi, con una prospettiva che nel lungo periodo potrebbe spingersi verso i 70 – pesa come un macigno non solo sui lavoratori vicini all’uscita, ma anche su una maggioranza che in campagna elettorale aveva promesso il superamento della Legge Fornero. Le condizioni finanziarie, tuttavia, non consentono fughe in avanti: non ci sono risorse per riforme strutturali, né margini per rivoluzioni improvvise. E allora il governo si muove sul terreno più modesto ma politicamente cruciale della flessibilità.

Ed è qui che entra in scena la cosiddetta “proposta Durigon”, quella che potrebbe essere l’unica vera possibile novità di questa manovra. 

L’idea è semplice: rendere accessibile l’uscita a 64 anni non solo ai lavoratori “contributivi puri”, ma anche a chi ha una carriera mista, cioè contributi versati prima e dopo il 1996. Un allargamento che trasformerebbe i 64 anni in una sorta di “soglia di libertà pensionistica”, una via d’uscita anticipata che potrebbe valere per centinaia di migliaia di persone.

Per rendere sostenibile la misura, si guarda anche alla possibilità di utilizzare il TFR per colmare eventuali buchi rispetto alla pensione minima richiesta: un compromesso che permetterebbe al bilancio pubblico di non subire scossoni, pur garantendo maggiore flessibilità individuale.

Ma non è un passaggio indolore. Ogni allargamento dell’accesso alla pensione richiede coperture vere, non promesse. E il resto della manovra mostra quanto sia difficile reperire risorse: la tassazione sull’oro investito porterà verosimilmente molto meno del previsto, gli altri micro-tributi – dall’anti fast fashion all’aumento delle imposte sulle transazioni finanziarie – non basteranno a finanziare interventi previdenziali di grande portata. Il rischio è che anche questa volta la montagna partorisca un topolino.

Per questo, la questione previdenziale non è solo un capitolo della manovra: è il punto di contatto più sensibile tra le aspettative dei cittadini e le rigidità dei conti pubblici. Sarà qui che la maggioranza dovrà dimostrare se è in grado di tenere insieme consenso, responsabilità e coerenza con gli impegni presi.

Tutto il resto, dagli affitti brevi alle rottamazioni, dalle tasse sui dividendi ai condoni edilizi, resta sullo sfondo. Perché sarà dalle pensioni, più che da ogni altro dossier, che si misurerà la credibilità politica di questa manovra. E, forse, della stessa coalizione di governo.

In questa corsa contro il tempo, la manovra si conferma ancora una volta il terreno in cui si misurano la coesione della maggioranza, la credibilità finanziaria del Paese e le aspettative dei cittadini. Ogni decisione avrà un peso politico e sociale che va oltre i numeri delle tabelle. Perché, al di là dei saldi invariati, ciò che davvero non cambia è l’urgenza di dare risposte chiare a un Paese che le attende da tempo.

Risposte che forse arriveranno con la prossima finanziaria, quella a ridosso delle elezioni politiche del 2027.

Autore Gregorio Scribano
Categoria Economia
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