Dopo un lungo percorso giudiziario, il 30 gennaio 1992 i frutti del Maxiprocesso di Palermo portarono finalmente alle prime pesanti condanne definitive contro la mafia. Tutti i protagonisti di quella organizzazione criminale denominata “Cosa Nostra”, in gran parte esponenti del gruppo stragista legato al capo dei capi Totò Riina, furono condannati a pene fino ad allora mai applicate alla mafia.
La tesi di quel momento storico in atto era: o lo Stato si accorda con la mafia oppure sarà costretto con attentati e stragi. Grazie al pool antimafia questo schema, più apparente che reale, non funzionò. Gran parte delle indagini dimostrarono che la mafia, almeno a partire dai livelli medio-alti, nelle stragi che vanno dagli anni “80 fino al 1993, fu abilmente manovrata.
Questa teoria, si regge sui vari accordi (suffragati anche da sentenze definitive) delle consorterie mafiose con il sistema corrotto di una parte dello Stato, il cui coinvolgimento nella strategia stragista è oggi evidente a tutti. Grazie alle indagini della magistratura, infatti, a partire proprio dal 1980 fu chiaro che dietro le varie stragi, ci fosse in realtà anche una “strategia di matrice eversiva”.
Esisteva (e forse esiste ancora ed è più forte di allora) un intreccio di interessi tra una parte delle Istituzioni pubbliche e della criminalità organizzata, con l’eversione nera, la massoneria deviata, settori imprenditoriali e economico-finanziari, pezzi delle forze armate, delle forze dell’ordine, della magistratura e dei servizi segreti persino di altre Nazioni. L’obiettivo era fermare il cambiamento in atto per costruire un’Italia diversa e migliore.
C’era la possibilità di un ricambio della classe politica che avrebbe reciso inevitabilmente i legami con quel mondo politico, economico e affaristico-finanziario che troviamo dietro la strategia della tensione di quegli anni (cfr. uccisione di Aldo Moro, Piersanti Mattarella, Carlo Alberto Dalla Chiesa). Una presa di posizione chiara e inequivocabile su queste questioni sarebbe necessaria anche se tanti altri fatti andrebbero ancora chiariti. Partendo, ad esempio, dalle responsabilità politiche, visto che i dirigenti dei servizi erano di nomina governativa.
Lo Stato dovrebbe agevolare l’individuazione di quegli elementi di verità di cui è in possesso e molti dei quali beneficiano inconcepibilmente ancora del segreto di Stato, nella consapevolezza che solo la verità lenisce le ferite sia delle vittime sia dei cittadini. Questo perché una delle armi più potenti che il nostro Stato democratico ha nelle sue mani, uno dei più potenti deterrenti contro chi mira a danneggiarlo o addirittura distruggerlo, è proprio di dare finalmente un nome ai suoi veri nemici.


