Gaza continua a sanguinare: mentre il mondo rimane a guardare, lo Stato ebraico occupante continua a uccidere.
Mentre le macerie continuano ad accumularsi e i corpi vengono estratti uno dopo l'altro, la Striscia di Gaza vive un'altra giornata di orrore. Secondo il rapporto quotidiano del Ministero della Sanità palestinese, nelle ultime 24 ore sono stati registrati 44 nuovi morti, di cui solo 38 recuperati dalle macerie, e 29 feriti. Molti restano ancora sepolti: le squadre di soccorso non riescono a raggiungerli, bloccate dai bombardamenti e dalla distruzione sistematica delle infrastrutture.
Dall'inizio dell'aggressione israeliana, il 7 ottobre 2023, il bilancio è diventato mostruoso: 67.913 palestinesi uccisi e 170.134 feriti. Numeri quasi sicuramente approssimativi per difetto che già così sono sufficienti a dimostrare un genocidio.
Intanto, a Tel Aviv, la cosiddetta "leadership politica" di Israele ha deciso di chiudere nuovamente il valico di Rafah e ridurre drasticamente gli aiuti umanitari destinati ai civili della Striscia.
La motivazione ufficiale? Hamas non ha ancora consegnato tutti i corpi dei prigionieri israeliani morti. Da sottolineare che quei prigionieri sono stati uccisi, e in gran parte polverizzati, nei bombardamenti che l'esercito dello Stato ebraico ha effettuato quotidianamente su Gaza.
Una logica disumana: si usa la fame, la sete e la malattia come arma di pressione politica, mentre un intero popolo viene strangolato dentro una prigione a cielo aperto.
In Israele cresce la tensione per la consegna solo di alcune delle vittime tra i prigionieri: Hamas ha rilasciato solo quattro corpi e l'ira dell'opinione pubblica israeliana si è scatenata contro il governo. Ma questa rabbia interna non si traduce in autocritica: viene rovesciata su Gaza, con nuove restrizioni e nuove minacce di violenza. Netanyahu, fedele alla sua linea di crudeltà e impunità, ha fatto proprie le raccomandazioni dei propri servizi di sicurezza: punire Gaza, ancora una volta.
Questo è l'incredibile "accordo di pace" annunciato ieri a Sharm El-Sheikh... mentre anche in Cisgiordania continuano come prima i crimini del "morale" esercito dello Stato ebraico e dei terroristi ebrei altrimenti conosciuti come coloni, con i palestinesi che continuano a dover affrontare il solito inferno quotidiano.
Questo un esempio di "alcuni" dei crimini odierni.
A Duma, a sud di Nablus, coloni israeliani armati hanno attaccato i lavoratori del Consiglio del Villaggio che stavano riaprendo una strada "autorizzata". Hanno sparato, picchiato, distrutto un veicolo e rubato le olive del raccolto dai terreni palestinesi.
Il Consiglio ha denunciato l'attacco, ricordando che Israele è pienamente responsabile di queste aggressioni e che la resistenza civile continuerà, nonostante tutto.
A Bardala, nella Valle del Giordano settentrionale, 150 alberi di ulivo — fonte di sostentamento per famiglie intere — sono stati distrutti dai coloni. Da quando hanno costruito un avamposto nella zona, gli attacchi dei terroristi ebrei si sono moltiplicati: terreni bruciati, pascoli confiscati, raccolti distrutti. È una guerra lenta, ma costante, per cancellare la presenza palestinese dalla propria terra.
All'alba di martedì, a Beitin (est di Ramallah), i coloni hanno dato fuoco a un'auto appartenente alla famiglia del martire Saji Darwish. Solo l'intervento dei residenti ha impedito che l'incendio si estendesse alle abitazioni vicine.
Le forze di occupazione israeliane hanno preso d'assalto Ramallah, al-Bireh, Hebron e diversi villaggi circostanti. Case devastate, famiglie interrogate, abitazioni trasformate in basi militari. A Idhna e al-Koum, due abitazioni palestinesi sono state sequestrate e convertite in caserme; i residenti cacciati con la forza. Scuole chiuse, gas lacrimogeni nelle strade, studenti bloccati ai checkpoint.
La violenza non è più un'eccezione: è la norma quotidiana di un regime di occupazione che governa attraverso il terrore.
Gaza viene bombardata, la Cisgiordania viene colonizzata, Gerusalemme viene strangolata.
Eppure, la Palestina resiste.
Resiste nelle mani che scavano tra le macerie per salvare un bambino.
Resiste nei contadini che ripiantano gli ulivi distrutti.
Resiste in ogni famiglia che rifiuta di lasciare la propria casa.
Resiste mentre il mondo gira la testa dall'altra parte, nonostante un intero popolo continui a gridare il rispetto del diritto del diritto internazionale.
È lo stesso diritto che hanno calpestato e continuano a calpestare i tanti Netanyahu, i tanti Trump, le tante von der Leyen, le tante Meloni, i tanti pseudo giornalisti della propaganda ebraica, i tanti ebrei della diaspora... complici di crimini di cui, prima o poi, dovranno pur rendere conto!


