Le parole del ministro della Giustizia Carlo Nordio, pronunciate durante la conferenza contro i femminicidi, hanno riaperto un fronte polemico acceso. Nel tentativo di spiegare le radici della violenza maschile contro le donne, il Guardasigilli ha proposto una lettura che intreccia Darwin, forza fisica, retaggi ancestrali e "sedimentazioni" psicologiche radicate nel maschio da millenni.
Un approccio che ha immediatamente fatto esplodere le reazioni, soprattutto da parte delle opposizioni.
Le affermazioni del ministro: tra storia, biologia e subconscio
Nordio ha sostenuto che il dominio maschile affondi le sue origini nella supremazia fisica che, fin dalle società preistoriche, avrebbe imposto un modello di forza come criterio di leadership. Da qui, secondo lui, si sarebbe sviluppato un maschilismo strutturale poi penetrato nella politica, nella cultura, nelle arti e nelle istituzioni.
In questo percorso, il ministro ha ricordato anche quanto fosse recente — storicamente parlando — l'abolizione del delitto d'onore in Italia, avvenuta soltanto nei primi anni '80. Un esempio, a suo dire, di come la svalutazione giuridica della donna sia rimasta a lungo nei codici.
Il passaggio più contestato però è stato quello in cui Nordio ha descritto la parità di genere come un obiettivo ancora ostacolato da "resistenze" inscritte nel subconscio e quasi nel "codice genetico" maschile: retaggi profondi che, pur in un contesto di uguaglianza formale, emergerebbero in comportamenti violenti quando "la miccia accende la polvere da sparo".
Pur ribadendo che leggi e repressione sono necessarie, il ministro ha insistito sulla centralità dell'educazione come strumento per "rimuovere" queste eredità culturali.
Si può sostenere che le odierne affermazioni di Nordio, pur condannabili, siano comunque un passo avanti rispetto a quella della primavera scorsa, quando disse: "Femminicidi? Alcune etnie non hanno la nostra sensibilità verso le donne". Una affermazione che non spiegava certo i casi di Giovanni Padovani, che ha massacrato a martellate l'ex compagna Alessandra Matteuzzi perché "colpevole" di averlo lasciato; Filippo Turetta, che ha ucciso Giulia Cecchettin con 75 coltellate dopo anni di persecuzione; Alessandro Impagnatiello, che ha prima tentato di avvelenare Giulia Tramontano e poi l'ha uccisa a coltellate provando a bruciarne il corpo; Stefano Argentino, che ha accoltellato alla gola Sara Campanella perché non accettava un no...
Opposizioni all'attacco: "Analisi arcaiche, alibi culturali"
La replica della politica non si è fatta attendere, ed è stata quasi unanime nel bocciare il quadro proposto dal ministro.
Chiara Appendino (M5S) ha ironizzato definendo “genetica maschile” e “violenza innata” concetti che richiamano la fisiognomica lombrosiana.
Ilenia Malavasi (PD) ha accusato Nordio di banalizzare un problema complesso riducendolo a muscoli e retaggi biologici, anziché riconoscere la radice culturale e strutturale della violenza. Ha chiesto investimenti reali: educazione al rispetto, centri antiviolenza, formazione adeguata per magistrati e forze dell'ordine, e politiche che emancipino le donne dalla dipendenza economica.
Duro anche il gruppo M5S della commissione bicamerale sul femminicidio: parlare di subconscio maschile e biologismo, dicono, sposta il discorso su un destino predeterminato invece che sulle responsabilità politiche e sociali, ignorando il fatto che troppe donne trovano ancora istituzioni lente e risorse insufficienti.
Maria Elena Boschi (IV) ha bollato come “imbarazzanti” sia le parole di Nordio sia quelle della ministra Roccella, accusando entrambi di usare teorie ottocentesche invece di applicare le leggi e sostenere concretamente chi combatte la violenza.
La ministra Roccella contro l'educazione sessuo–affettiva: un'altra scintilla
Come se non fossero state sufficienti le parole di Nordio, a infiammare ulteriormente il dibattito è intervenuta anche la ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, che ha messo in dubbio l'efficacia dell'educazione sessuale e affettiva a scuola. Ha portato come esempio la Svezia, sostenendo che nonostante anni di programmi strutturati, il Paese avrebbe più femminicidi dell'Italia.
Anche questa affermazione ha attirato critiche feroci.
Cecilia D'Elia (PD) si è detta sconcertata dall'assenza di una strategia educativa in una fase storica in cui i giovani ne avrebbero bisogno più che mai. Chiara Gribaudo (PD) ha definito false e gravissime le dichiarazioni di entrambi i ministri, ricordando che la radice della violenza è culturale e che senza educazione al consenso e alla parità non c'è repressione che tenga.
La difesa dei (post) fascisti: "Polemiche sterili, serve unità"
Dalla maggioranza, la replica più netta è arrivata da Alfredo Antoniozzi (FdI), che ha bollato le critiche come “insulse” e strumentali. A suo giudizio, non si può far coincidere patriarcato e governo di destra, e la discussione dovrebbe concentrarsi su strumenti concreti di protezione per le donne. Antoniozzi ha citato anche il parere dello psicopatologo Antonio Semerari, secondo il quale la tutela passa anche attraverso autodifesa e cambiamento culturale, non solo attraverso l'educazione scolastica.
Uno scontro che lascia sul tavolo la questione centrale
L'ondata di reazioni alle parole di Nordio e Roccella dimostra quanto il tema della violenza di genere sia oggi un campo politico infuocato, dove ogni passo falso semantico diventa detonatore di polemica.
Ma sotto il rumore resta la domanda più urgente: cosa serve davvero per fermare i femminicidi?
Leggi più severe, educazione sessuale, riforme culturali, investimenti strutturali?
Il dibattito è aperto, ma una cosa è evidente: mentre la politica litiga su Darwin, subconscio e DNA, ogni giorno c'è chi chiede protezione e spesso non la trova.


