Le parole di Carlo Nordio sono una di quelle uscite che dovrebbero far sobbalzare chiunque abbia a cuore la dignità delle istituzioni. Di fronte a una domanda seria — il rischio che la riforma della giustizia finisca per ricalcare punti del famigerato piano della P2 — il ministro cosa fa? Si rifugia in una frase che definire superficiale è un regalo: "Io non conosco il piano della P2… Posso dire che se l'interpretazione, o meglio, l'opinione del signor Licio Gelli era un'opinione giusta, non vedo perché non si dovrebbe seguire perché l'ha detto lui".
Tradotto: non sa, non approfondisce, ma è disposto a prendere per buona l'opinione del capo di una loggia segreta eversiva che aveva come fine ultimo quello di sovvertire l'ordine costituzionale del nostro Paese. Un ministro della Giustizia che parla della P2 come se si trattasse di un commentatore qualsiasi, senza nemmeno sforzarsi di comprendere il contesto storico, politico e giudiziario di quella struttura clandestina che ha provato a piegare lo Stato dal suo interno.
Il commento è in risposta alle dichiarazioni del procuratore generale di Napoli, Aldo Policastro, secondo il quale la riforma della giustizia attuerebbe il piano della P2.
"Le verità", ha aggiunto poi il Guardasigilli a margine della visita al carcere di Secondigliano, "non dipendono da chi le proclama, ma dall'oggettività che rappresentano. Se Gelli ha detto che Gesù è morto in croce, non per questo dobbiamo dire che è morto di polmonite. Anche l'orologio sbagliato segna due volte al giorno l'ora giusta. Gli inglesi dicono 'sei inciampato nella verità' [ma in relazione al caso Almasri, Norldio non aveva detto di non conoscere l'inglese? Adesso sembra conoscerne le espressioni idiomatiche come se fosse un madrelingua, ndr]. Se anche Gelli è inciampato nella verità, non per questo la verità non è più la verità".
Il punto non è neppure cosa Nordio pensi della riforma — su quello il dibattito è aperto, e legittimo. Il problema è il modo in cui liquida una questione enorme: la potenziale somiglianza tra norme del governo e l'agenda di una loggia che voleva smantellare l'equilibrio democratico italiano. Serve davvero ricordargli che la P2 non era un club culturale ma un'organizzazione che aveva elaborato un progetto di controllo politico e mediatico in aperto contrasto con la Costituzione?
Un ministro serio avrebbe risposto entrando nel merito, respingendo nel dettaglio ogni accostamento, spiegando perché la riforma è distante anni luce da qualsiasi piano eversivo. Invece no: Nordio preferisce scherzare, banalizzare, trasformare un tema gravissimo in una battuta. Una leggerezza che suona come un'ammissione: non ha una risposta solida, e quindi si sottrae.
Che poi, se davvero non conosce quel piano, è ancora peggio. Perché chi guida via Arenula ha il dovere — non l'opzione — di conoscere la storia e gli scandali che hanno attraversato la nostra democrazia. Soprattutto quando le sue scelte vengono paragonate, giustamente o meno, a quei precedenti.
In un Paese normale, un ministro della Giustizia non si permetterebbe mai di evocare la possibilità che "se Gelli aveva ragione, allora…". In Italia, invece, accade. E accade pure senza che il diretto interessato senta il bisogno di correggere il tiro o chiarire.
Si può discutere di tutto: processi, tempi, responsabilità, riforme. Ma c'è una soglia sotto la quale il dibattito istituzionale diventa farsa. Nordio, con quella dichiarazione, l'ha superata in pieno. E il problema non è chi gliel'ha chiesto, ma che lui abbia risposto così, a cuor leggero. Inaccettabile da chi ricopre il ruolo che ricopre.


