In una mossa che potrebbe segnare un precedente cruciale per il futuro del giornalismo digitale, Penske Media Corporation, il colosso mediatico proprietario di testate del calibro di Rolling Stone, Billboard e Variety, ha intentato una causa federale contro Google. L'accusa è chiara: i riassunti generati dall'Intelligenza Artificiale del motore di ricerca utilizzerebbero il contenuto giornalistico senza consenso, danneggiando irrimediabilmente il traffico e i ricavi degli editori.

La causa, depositata venerdì scorso presso il tribunale federale di Washington D.C., rappresenta la prima volta che un grande editore statunitense porta in tribunale Alphabet, la società madre di Google, per contestare le funzionalità "AI Overviews" che compaiono in cima ai risultati di ricerca. Questi sommari, generati automaticamente tramite Intelligenza Artificiale, forniscono direttamente all'utente le risposte alle sue query, eliminando di fatto la necessità di cliccare sui link per leggere gli articoli originali.

Secondo Penske, gruppo a conduzione familiare guidato da Jay Penske il cui portafoglio attira 120 milioni di visitatori online al mese, Google condizionerebbe la presenza dei siti web degli editori nei suoi risultati di ricerca con la possibilità di utilizzare i loro articoli per alimentare le sue sintesi AI. Senza questo "leva", sostiene l'azienda nel documento legale, Google sarebbe costretto a pagare gli editori per il diritto di riprodurre il loro lavoro o di usarlo per addestrare i suoi sistemi di IA.

"Abbiamo la responsabilità di lottare proattivamente per il futuro dei media digitali e preservarne l'integrità, tutto ciò che è minacciato dalle attuali azioni di Google", ha dichiarato Penske. La società afferma che circa il 20% delle ricerche Google che linkano ai suoi siti mostra ormai gli AI Overviews, una percentuale destinata a salire, e che i ricavi da affiliate sono crollati di oltre un terzo, a causa del calo del traffico da ricerca.

La posizione dominante di Google nel mercato della ricerca, stimata vicina al 90% negli Stati Uniti secondo una recente sentenza federale, le conferirebbe il potere di dettare queste condizioni. "Quando hai la scala massiccia e il potere di mercato che ha Google, non sei obbligato a rispettare le stesse norme. Questo è il problema", ha commentato Danielle Coffey, CEO di News/Media Alliance, un'associazione di categoria che rappresenta oltre 2.200 editori.

Google, dal canto suo, ha respinto le accuse definendole "infondate". Un portavoce, Jose Castaneda, ha dichiarato: "Con gli AI Overviews, le persone trovano la Ricerca più utile e la usano di più, creando nuove opportunità affinché i contenuti vengano scoperti". La replica di Google sottolinea come la funzionalità offrirebbe un'esperienza migliore agli utenti e indirizzerebbe traffico verso un'ampia varietà di siti web.

La causa di Penske arriva in un momento delicato per il gigante tecnologico. Solo poche settimane fa, un giudice ha respinto la richiesta di obbligare Google a vendere il browser Chrome come misura per aprire la concorrenza nel mercato dei search, una decisione che ha deluso molti editori. Questi ultimi si sentono sempre più intrappolati, osservando come altre compagnie AI, come OpenAI (creatrice di ChatGPT), stiano siglando accordi di licenza per l'uso dei contenuti con grandi editori come News Corp, Financial Times e The Atlantic. Google, la cui chatbox Gemini compete proprio con ChatGPT, è stata più lenta nel chiudere questo tipo di accordi, preferendo apparentemente fare affidamento sul suo potere di gatekeeper del web.

Lo scontro è aperto e il suo esito potrebbe riscrivere le regole del rapporto tra il gigante della tecnologia e l'industria dell'informazione da cui dipende.