Nel dibattito sulla qualità dell'aria non c'è più margine per tentennamenti. La Direttiva europea 2881/2024 imporrà dal 1° gennaio 2030 limiti nettamente più severi per PM10, PM2.5 e NO₂, ma aspettare quella data è un lusso che non ci possiamo permettere. Lo dimostrano analisi e dati raccolti da Osservatorio Mobilità Urbana Sostenibile, Kyoto Club, Clean Cities Campaign e ISDE Italia: se l'obiettivo è rientrare nei nuovi standard, l'unico momento utile per agire è adesso.

L'esempio francese: chi parte avvantaggiato accelera, non rallenta
La Francia, dopo vent'anni di progressi e riduzioni sostanziali degli inquinanti, ha ammesso che rispettare i limiti 2030 sarà comunque complicato. Per questo ADEME ha avviato un cantiere nazionale sulla transizione che coinvolge mobilità, industria, sanità e governance territoriale. Se un Paese che parte in posizione migliore della nostra sente la necessità di muoversi anni prima, il caso italiano non ammette interpretazioni: chi oggi registra alcuni dei livelli più alti d'Europa non può trascinarsi ancora in misure tampone.

PM10: superamenti da record e medie fuori controllo
Il limite europeo consente 18 superamenti annui del valore giornaliero. In molte città italiane questa soglia è stata spazzata via entro marzo. A novembre Napoli e Milano viaggiano attorno a 82 e 78 superamenti, Torino e Modena oscillano tra 40 e più. Ma il vero problema sono le medie annuali: valori che in troppe stazioni restano stabilmente tra 25 e 30 µg/m³, a fronte del nuovo limite di 20 µg/m³ e ben oltre le raccomandazioni OMS (15 µg/m³). Non parliamo più di picchi occasionali, ma di un fondo costante di particolato che la popolazione respira ogni singolo giorno.

PM2.5: l'inquinante che fotografa la distanza dall'Europa
Le città della Pianura Padana registrano medie annue tra 20 e 30 µg/m³, quando la soglia 2030 scenderà a 10 µg/m³. La discrepanza è netta: anche dove i picchi sono minori, l'esposizione quotidiana resta tossica. Milano supera i cento superamenti giornalieri, Brescia va oltre settanta, Verona attorno ai cinquanta. Non è un inquinamento fatto di emergenze episodiche, ma di continuità cronica. E la continuità, in termini sanitari, è la vera condanna.

NO₂: traffico privato e congestione restano i padroni dell'aria
Il biossido di azoto parla chiaro: in Italia la mobilità privata continua a dominare. Napoli raggiunge 180 superamenti, Palermo quasi 150, Genova oltre 80, Torino e Milano sopra i 55–60. Parliamo di livelli dieci volte oltre la soglia prevista. Le medie annuali restano tra 30 e 35 µg/m³, ben sopra il nuovo limite 2030 (20 µg/m³) e ancora più distanti dal tetto OMS (10 µg/m³). Il quadro è semplice: senza una riduzione drastica del traffico veicolare, soprattutto diesel, non si rientrerà neppure per sbaglio nei parametri europei.

Non è emergenza, è normalità: e la normalità è tossica
Non si tratta di annate sfortunate o condizioni meteo avverse. La costanza dei superamenti e delle medie annuali indica un ritardo strutturale. Le grandi città restano sistematicamente fuori norma, quelle medie seguono lo stesso copione, e persino centri spesso ritenuti più “virtuosi” superano i limiti.

L'impatto sanitario è già scritto nei numeri: 48.000 morti premature attribuibili al PM2.5 e 10.000 al NO₂ nel 2022. Una contabilità che un Paese industrializzato non può accettare come “fisiologica”.

Salute pubblica: l'aria sporca è il nuovo tabacco
Al Congresso ISDE 2025, Maria Neira (OMS) ha definito l'inquinamento atmosferico “il nuovo tabacco”. Un terzo delle malattie cardiovascolari e respiratorie gravi è collegato all'aria che respiriamo, e non esiste una soglia sicura: ogni riduzione, anche minima, produce benefici immediati. Tradotto: non è questione di limiti da rispettare, ma di vite da salvare.

Serve un cantiere nazionale, non un'altra stagione di divieti lampo
Se la Francia ha costruito un piano strutturale partendo da livelli già ridotti, l'Italia non può pensare di cavarsela con blocchi del traffico domenicali e interventi “d'emergenza”. I pilastri necessari sono chiari:

  • taglio netto al traffico privato e alla dipendenza dall'auto,
  • trasporto pubblico esteso, frequente, affidabile,
  • reti ciclabili e pedonali sicure e continue,
  • pianificazione urbana che riduca gli spostamenti obbligati,
  • revisione delle emissioni termiche domestiche e produttive,
  • integrazione reale tra politiche sanitarie e ambientali.

Senza una strategia nazionale, l'alternativa non sarà solo la sanzione europea: sarà una crisi sanitaria permanente.

La scadenza del 2030 non è un obiettivo, è un ultimatum
I limiti in arrivo non rappresentano una proiezione sul futuro, ma una radiografia del presente. L'Italia non è semplicemente in ritardo: è fuori traiettoria.

Chi pensa che basti “stringere un po'” man mano che ci avviciniamo alla scadenza non ha capito la natura del problema. Non si tratta di gestire picchi invernali, ma di cambiare modello urbano e di mobilità in modo definitivo.

Il tempo concesso è finito. Non serve attendere che Bruxelles apra procedure di infrazione per prendere sul serio ciò che abbiamo già sotto il naso: l'aria che respiriamo oggi non è compatibile né con la salute né con la legge. E non lo sarà domani, se non si interviene adesso.