Google ha evitato lo scenario peggiore: la vendita forzata del browser Chrome. Tuttavia, secondo diversi esperti legali, le misure imposte dal tribunale dopo la vittoria antitrust del Dipartimento di Giustizia statunitense (DOJ) potrebbero comunque allentare il controllo del colosso sul mercato delle ricerche online.
Un giudice federale aveva già stabilito lo scorso anno che Google aveva monopolizzato illegalmente il settore della ricerca. Con la nuova sentenza, l'azienda non potrà più stipulare accordi esclusivi che diano priorità ai suoi servizi e sarà obbligata a condividere parte dei propri dati con i concorrenti.
Il giudice Amit Mehta ha respinto le richieste più drastiche del Dipartimento di Giustizia (DOJ), consentendo a Google di mantenere Chrome. Una boccata d'ossigeno per l'azienda, reduce da due sconfitte in altre cause antitrust, incluso il settore della pubblicità digitale. La decisione è stata accolta con entusiasmo nel settore tecnologico: l'analista Dan Ives l'ha definita una "vittoria enorme" non solo per Google, ma anche per Apple, che potrà continuare a incassare miliardi dal suo accordo per mantenere Google come motore di ricerca predefinito su Safari. Gli attivisti antitrust, inoltre, definiscono la sentenza come una "pacca sulla spalla", sostenendo che l'azienda manterrà sostanzialmente il suo monopolio.
William Kovacic, ex presidente della Federal Trade Commission, ha avvertito però di non correre a conclusioni affrettate: "C'è una tendenza a sottovalutare l'impatto di rimedi basati sulla condotta. Non è detto che solo uno smembramento possa avere effetti".
Il giudice Mehta ha imposto restrizioni non solo sui motori di ricerca e sul browser, ma anche sui chatbot AI. Google non potrà siglare accordi esclusivi per favorire Gemini, il suo assistente basato su intelligenza artificiale. Inoltre, lo stesso giudice ha riconosciuto i chatbot generativi come concorrenti qualificati, permettendo loro di beneficiare delle misure di condivisione dei dati.
Paul Swanson, esperto di diritto antitrust, ha sottolineato come questa sia una decisione probabilmente significativa, poiché tiene conto della rapida ascesa dell'AI come alternativa alle ricerche tradizionali.
Tra le misure più rilevanti c'è l'obbligo per Google di condividere l'indice delle ricerche e i dati sulle interazioni degli utenti con concorrenti qualificati. Jeff Cross, avvocato antitrust, ha definito questo punto "l'elemento più importante per ristabilire la concorrenza".
Secondo lui, il valore del motore di ricerca di Google deriva dall'effetto rete: più utenti generano più dati, i quali migliorano la qualità del servizio, attirando a loro volta ancora più utenti. "Costringere Google a condividere parte di questo patrimonio è il vero colpo al cuore del monopolio", ha spiegato. "L'obiettivo della sentenza non è far soffrire Google, ma rimuovere i comportamenti monopolistici e ridare ossigeno ai concorrenti".
Google ha accolto con sollievo la decisione di non essere smembrata, ma ha espresso preoccupazioni sugli effetti che le misure di condivisione dei dati potrebbero avere sulla privacy degli utenti.
In sostanza, il tribunale non ha smembrato Google, ma ha aperto uno spiraglio per chi vorrà insidiare il suo dominio. E in un mercato che evolve rapidamente, soprattutto grazie all'intelligenza artificiale, anche un piccolo spiraglio può fare la differenza... forse!

