Non c'è niente di eroico, né tantomeno di “strategico”, in quello che sta succedendo a Pokrovsk. C'è solo la messa in scena di un delirio bellico che ormai sfiora la parodia: soldati russi che avanzano su motociclette e sui tetti di automobili sfasciate, in un paesaggio coperto di nebbia che sembra uscito da Mad Max. Solo che qui non si tratta di cinema. È realtà. E ogni metro di terreno conquistato costa vite umane.

Mosca parla trionfalmente di una nuova “spinta” verso il cuore del Donetsk, di una “porta d'ingresso” che si apre verso Kramatorsk e Sloviansk. Ma la verità è che la Russia sta usando le stesse tattiche di sempre: la propaganda prima della pietà, lo spettacolo prima della strategia. Hanno impiegato oltre un anno per accerchiare una città media come Pokrovsk, mentre raccontano al mondo di essere una superpotenza inarrestabile.

I video che circolano sui canali russi mostrano veicoli senza porte, soldati aggrappati ai tettucci come comparse di un film d'azione a basso costo, e droni che scrutano un paesaggio spettrale disseminato di rottami. La Russia, che voleva “denazificare” l'Ucraina, sta solo zombificando se stessa: un esercito che avanza su carcasse di automobili, un potere che si alimenta di rovine e menzogne.

Mentre Putin si vanta di controllare “il 19% dell'Ucraina”, la realtà è che ha distrutto il 100% della credibilità del suo Paese. Pokrovsk è solo l'ennesimo simbolo di un impero in decomposizione che scambia il fango per conquista e il silenzio dei morti per vittoria.

Nel frattempo, Kiev combatte casa per casa, cercando di resistere a un nemico che usa la nebbia per nascondersi dai droni, ma non riesce più a nascondere la propria disperazione. I 150.000 uomini concentrati attorno alla città non sono un segno di forza: sono la misura dell'ossessione, la prova che il Cremlino ha bisogno di un trofeo qualunque per continuare a raccontare ai propri cittadini che la guerra “va bene”.

Eppure, non va bene niente. Non va bene la distruzione sistematica di città ucraine, non va bene la complicità silenziosa di chi guarda altrove, e non va bene che nel 2025 si debba ancora commentare una guerra che somiglia sempre più a una distopia autoprodotta.

Pokrovsk non è un “successo militare”. È un monumento all'assurdo: motociclisti tra le macerie, droni tra gli alberi, generali che si vantano di aver preso 256 edifici come se fossero trofei in un videogioco. Ma questa non è una partita. È la cronaca di un'Europa che brucia, mentre qualcuno ancora finge di non sentire l'odore del fumo.