Negli ultimi mesi, due vicende apparentemente distinte – una nel Negev e l'altra in Cisgiordania – hanno rivelato in modo lampante la stessa logica che guida la politica israeliana nei confronti dei palestinesi: l'espansione territoriale accompagnata da un sistema giudiziario che legittima l'ingiustizia.
Nel Negev, la Corte Suprema israeliana ha approvato la decisione di sgomberare la comunità beduina di Ras Jaraba, a est di Dimona. Circa 500 persone saranno costrette a lasciare le proprie terre entro tre mesi, dopo che il loro ricorso contro il verdetto della corte distrettuale di Be'er Sheva è stato respinto. Eppure, solo pochi mesi fa, la stessa Corte degli Affari Amministrativi aveva bloccato il piano di espansione di Dimona, rilevando la mancanza di una valutazione ambientale e l'assenza di soluzioni di integrazione per i residenti.
Con l'ultima decisione, la Corte Suprema ha di fatto legittimato un trasferimento forzato senza una base urbanistica valida, un passo che le organizzazioni per i diritti umani definiscono come parte di una politica di "apartheid pianificato" (anche) nel Negev. Le famiglie coinvolte appartengono alle tribù al-Hawashleh, Abu Salb e al-Nasasra, storicamente radicate in quella zona, oggi considerata parte dell'area di influenza di Dimona.
Contemporaneamente, un altro quadro si delinea a nord-est, in Cisgiordania, dove i dati ufficiali della polizia israeliana mostrano un calo del 73% nei procedimenti aperti contro i coloni israeliani autori di violenze contro i palestinesi negli ultimi due anni. Nel 2024, non è stata presentata nemmeno un'accusa formale contro un solo colono, nonostante le organizzazioni per i diritti umani – israeliane e internazionali – denuncino un aumento drastico degli attacchi contro la popolazione palestinese.
Le cifre raccontano una realtà inquietante: da 235 indagini nel 2022 si è passati a 60 nel 2024, e solo una minima parte ha portato a incriminazioni. La maggior parte dei fascicoli è stata archiviata per "mancanza di prove" o "scarso interesse pubblico". Si tratta di aggressioni, danni a proprietà, sparatorie e minacce: tutti crimini documentati ma sistematicamente ignorati dal sistema giudiziario.
Il risultato è chiaro: mentre i beduini del Negev vengono espulsi dalle loro terre in nome della "legalità", i coloni che agiscono illegalmente godono di un'impunità quasi totale. Da una parte, la legge viene usata come arma per smantellare le comunità palestinesi dalla loro terra.
È l'ennesima dimostrazione del regime di apartheid cui sono sottoposti i palestinesi da decenni da parte di uno Stato canaglia, lo Stato ebraico di Israele, grazie alla complicità della comunità internazionale che non ha fatto e continua a non far nulla per ripristinare il diritto internazionale.


