Ci sono sconfitte che fanno male e altre che insegnano. Quella del Bernabeu appartiene alla seconda categoria. Il Real Madrid batte la Juventus 1-0, ma la notte europea dei bianconeri racconta molto più del punteggio. Racconta una squadra che rialza la testa, che ritrova orgoglio e identità, che torna a giocarsela a viso aperto contro i più forti. Dopo giorni di polemiche e dubbi, la Juventus di Igor Tudor esce sconfitta, ma a testa alta!
Non è nello stile Juve cambiare direzione alla prima difficoltà, e a la Continassa lo sanno bene. Dopo il tonfo di Como qualcuno aveva ipotizzato un ribaltone, ma il club non ha mai davvero pensato a un cambio in panchina. Perché una società con la storia e la cultura della Juventus non si lascia guidare dagli umori del momento. Si guarda il percorso, non la singola curva. E il percorso, ieri sera, ha mostrato segnali di crescita che vanno oltre il risultato.
Tudor ha chiesto coraggio e la squadra glielo ha dato. Per mezz’ora, al Bernabeu, la Juventus ha aggredito il Real Madrid, costringendolo a difendersi. McKennie ha interpretato alla perfezione il ruolo di incursore, Yildiz ha mostrato personalità da veterano e Vlahovic ha finalmente dato battaglia come centravanti vero. L’allenatore croato ha avuto il merito di cambiare senza stravolgere, di rimettere al centro l’intensità e l’orgoglio, due parole che da tempo mancavano nel vocabolario juventino.
Il gol di Bellingham al 57’, arrivato nel miglior momento bianconero, è la fotografia di una squadra ancora in costruzione: buona nel principio, meno nella gestione dei dettagli. Ma l’atteggiamento è quello giusto. La Juve ha reagito, non si è spenta, e ha costretto Courtois a più di una parata difficile. Di Gregorio, dall’altra parte, è stato monumentale, confermando che la base su cui costruire c’è.
In un calcio sempre più impaziente, questa sconfitta vale come un seme: se coltivato con fiducia e coerenza, può germogliare. La Juventus ha bisogno di tempo, non di scosse. Ha bisogno di credere nel lavoro di Tudor, non di cercare un nuovo mister. Cambiare ora sarebbe un errore non solo tecnico, ma culturale.
Perché perdere col Real non è un dramma. Lo sarebbe, piuttosto, perdere la propria identità. E ieri, al Bernabeu, la Juventus ha ritrovato un pezzo importante di sé stessa: il coraggio di provarci, la compattezza del gruppo, la voglia di essere protagonista anche quando il risultato dice altro.
La strada è lunga, ma l’impronta c’è. E a Torino lo sanno: questa volta non serve cambiare uomo, ma consolidare un’idea. Tudor resta al timone, giustamente. Perché la Juve ha perso, sì, ma ha convinto. E soprattutto, ha ricominciato a somigliare alla... Juventus.


