Secondo una recente revisione ufficiale delle decisioni politiche prese all’inizio della pandemia, il Regno Unito avrebbe gravemente sottovalutato la gravità del COVID-19 nei primi mesi del 2020, soprattutto tra febbraio e metà marzo. Quel periodo viene oggi definito dagli esperti un “mese perduto”, in cui si sarebbero potuti adottare provvedimenti restrittivi prima che il contagio esplodesse.

Il governo guidato da Boris Johnson non attivò misure immediate nonostante i segnali di allarme già disponibili, tra cui il rapido aumento dei casi in Italia e la valutazione dell’OMS che indicava il virus come minaccia globale. I consulenti scientifici avevano indicato che un intervento tempestivo avrebbe potuto ridurre drasticamente l’impatto sanitario.

Gli esperti stimano che un lockdown anticipato di circa una settimana avrebbe potuto evitare decine di migliaia di morti nella prima ondata, riducendo la pressione estrema sul sistema sanitario nazionale. Il ritardo è stato attribuito a una combinazione di fattori: indecisione politica, attenzione rivolta inizialmente all’immunità di gregge, timore di una reazione sociale negativa e una catena decisionale frammentata.

Oggi questo periodo viene ricordato come uno degli errori strategici più pesanti nella gestione della pandemia nel Paese: una risposta considerata troppo lenta rispetto alla velocità del virus.

In sintesi, ciò che emerge è l’immagine di un governo che non comprese per tempo la portata dell’emergenza e che, agendo tardi, contribuì a un numero di vittime considerato evitabile.

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