Pare che negli Stati Uniti il concetto di "ospitalità" stia assumendo un significato sempre più bizzarro. Non basta più arrivare con un passaporto valido e la volontà di spendere qualche migliaio di dollari in hotel, voli interni e bibite gassate giganti. No, adesso ai potenziali visitatori potrebbe essere chiesto di consegnare al governo americano cinque anni della propria vita digitale: social media, numeri di telefono, email, perfino informazioni sui parenti.

Per chi proviene dai circa 40 Paesi che possono entrare negli USA senza visto, questa nuova pretesa sembra un salto di qualità nella già crescente ossessione americana per il controllo totale. L'ESTA (tutti i viaggiatori che intendono recarsi negli USA nell'ambito del Visa Waiver Program - Programma Viaggio senza Visto - devono ottenere un'autorizzazione ESTA, Electronic System for Travel Authorization, PRIMA di arrivare negli Stati Uniti), che un tempo era una semplice formalità da 40 dollari, rischia di trasformarsi in un interrogatorio preventivo.

La giustificazione? Sempre la stessa: "sicurezza nazionale". Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, ogni giro di vite viene venduto come un atto di eroismo patriottico. Peccato che questo eroismo ricada sulle spalle dei turisti, trattati come sospetti finché non dimostrano il contrario.

E non si parla solo di social network. L'idea è di rastrellare anche anni di numeri di telefono, una decade di indirizzi email e un catalogo di familiari. Una collezione dati degna delle migliori agenzie investigative, altro che agenzia turistica.

I critici delle libertà digitali denunciano l'ovvio: consegnare anni di vita privata alle autorità di un Paese straniero è una violazione gigantesca, su cui pendono potenziali abusi. E per cosa? Per un viaggio di qualche settimana.

Dal punto di vista pratico, poi, si rischiano attese più lunghe, rifiuti a sorpresa e un generale clima di sospetto che scoraggerà i visitatori. E non è che l'industria del turismo americana stia navigando in acque tranquille: da anni i dati mostrano un calo dei visitatori internazionali, con il 2025 previsto come l'unico anno — su 184 economie analizzate — in cui si attende un declino della spesa dei turisti stranieri. Un primato di cui nessuno dovrebbe vantarsi.

Ma gli Stati Uniti sembrano determinati a complicarsi la vita proprio alla vigilia di eventi come Mondiali e Olimpiadi. Forse si illudono che un fan del calcio o dello sport olimpico sia disposto a regalare la propria identità digitale pur di assistere al grande spettacolo. Probabile che molti, invece, scelgano mete alternative.

A tutto questo si aggiunge il paradosso: mentre si pretendono profili social pubblici e trasparenti dagli stranieri, gli stessi americani continuano a difendere con le unghie e con i denti la loro privacy.

Il messaggio che arriva da Washington è chiaro: venite pure, ma lasciateci frugare nella vostra vita come se fosse un cassetto aperto. In un mondo già attraversato da tensioni, hackeraggi e abusi di dati, questa mossa non appare come un gesto di protezione, ma come un enorme freno alla libertà di movimento.

Insomma, il turismo negli Stati Uniti sta diventando un test di fiducia unilaterale. E per molti viaggiatori l'America potrebbe smettere di valere il prezzo — e il pedaggio digitale — del biglietto.