Trump, l'Europa e l'arroganza elevata a dottrina
È ufficiale: la diffidenza storica degli Stati Uniti verso l'Unione europea è diventata un programma politico dichiarato. Non più ammiccamenti, non più messaggi in codice. Nel documento del novembre 2025 che disegna la nuova National Security Strategy la nuova linea degli USA nei confronti dell'Europa è scolpita con estrema chiarezza: Trump non vuole un'Europa autonoma, vuole un'Europa inginocchiata, docile, obbediente. E soprattutto utile ai suoi interessi.
Le avvisaglie erano sotto gli occhi di tutti. La fastidiosa insofferenza verso la posizione europea sull'invasione russa, la guerra dei dazi combattuta da Bruxelles con un candore da vittima designata, le simpatie sbandierate per l'estrema destra del continente, già anticipate dal duo Musk–Vance, oggi trasformate in strategia geopolitica. Il messaggio è allarmante ma chiarissimo: l'Europa deve diventare un'appendice ideologica e militare della dottrina Maga. Deve adeguarsi ai dogmi trumpiani, finanziarli con soldi propri, rinunciare alla sua autonomia e intanto ingrassare l'industria estrattiva e bellica americana.
Ma la dottrina non si limita alla subordinazione economica. Pretende un'Europa smontata pezzo per pezzo. L'integrazione deve fermarsi, anzi tornare indietro. I mercati devono dilagare senza freni, i diritti devono scivolare nel dimenticatoio, soprattutto quelli dei più fragili e dei migranti. Le posizioni estreme, le retoriche identitarie, i valori gerarchici di chi sogna un'Europa autoritaria e chiusa devono diventare norma, non più devianza.
Questa visione non è teorica: ha già referenti precisi. Non a caso, Washington oggi non dialoga con l'Europa moderata ma con le destre nazionaliste che, Paese dopo Paese, minano la tenuta democratica del continente. Durante la Guerra fredda erano manovalanza utile per operazioni sporche anticomuniste, ora vengono elevate a partner privilegiati. L'Europa, per Trump, non è un alleato: è un terreno da plasmare ideologicamente, un laboratorio dove devastare ogni residuo di progetto comunitario.
La cosiddetta “remigrazione” — un eufemismo criminale per deportazione di massa — è presente tanto nei programmi dei peggiori neofascismi europei quanto nelle pratiche trumpiane di gestione dei migranti. Non c'è nemmeno più il pudore di distinguersi: l'obiettivo è comune e dichiarato. Cancellare ogni memoria critica della storia europea, blindare la narrazione della “civiltà occidentale minacciata”, usare il tema migratorio come arma di disciplinamento sociale.
Davanti a questo quadro, l'Unione europea avrebbe dovuto reagire con la dignità di chi rifiuta l'umiliazione. Invece non ha mosso un dito. Ha incassato, annuito, sorriso. Ha persino elogiato il “genio strategico” di Trump anche quando sputava in faccia ai principi fondativi dell'Unione. Si è comportata da vassallo docile, pronta a eseguire senza discutere.
Ora il rischio è lampante: gli Stati Uniti di Trump non stanno sostenendo l'Europa, stanno sostenendo le forze che vogliono smantellarla. La destra radicale, quella che sogna confini sigillati, stampa controllata, poteri concentrati e un'Europa etnicamente selezionata, è la vera destinataria del sostegno americano. E le forze centriste europee, già tentate dal compromesso, potrebbero piegarsi, allearsi, metabolizzare la deriva con la benedizione di Washington.
È il momento di ammetterlo senza giri di parole: non è un semplice conflitto di visione. È un attacco frontale, ideologico e strutturato. Un tentativo di invertire la storia e riportare il continente a un nazionalismo disgregato e autoritario. Se l'Europa continua a dormire, si ritroverà non solo irrilevante, ma complice del proprio smantellamento. L'allarme è reale. E questa volta non ci sarà una seconda occasione per accorgersene.
Per chi nutrisse ancora l'illusione che l'Europa potesse mostrare un minimo di dignità, l'intervento di Giorgia Meloni al Tg di Mentana (ormai confermato come il candidato più credibile nel sostituire Bruno Vespa a informatore ufficiale del regime) ha tolto ogni residuo alibi alla premier.
Ciò che vuole Trump è la fotografia dell'Italia meloniana, che è perfettamente in sintonia culturale e politica con il pensiero, i desideri e gli obiettivi dell'ultimo documento sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Per chi avesse ancora qualche dubbio, Meloni lo ha detto chiaramente a "Bruno" Mentana: "Non parlerei di incrinarsi dei rapporti tra Stati Uniti ed Europa. Quel documento dice con toni assertivi qualcosa che si dibatte da tempo".
Dunque nessuna critica a Trump ma una difesa di Trump.
È il prezzo che l'Italia deve pagare perché Meloni mantenga la protezione politica, il supporto e i favori del prepotente e antieuropeista presidente Trump... alla faccia dell'interesse nazionale di cui si riempie la bocca.
Ed è per questo che l'Italia galleggia e rinvia qualunque scelta strategica, perché a decidere del nostro futuro, per biechi tornaconti di sopravvivenza politica, Meloni ha accettato che fosse il suo capo, Donald Trump.
Che cosa abbia deciso Meloni lo abbiamo capito. Ma gli italiani vogliono veramente essere schiavi dei fascisti d'America?