Il mare era già nervoso quando, nella notte del 10 agosto, il veliero Astral ha intercettato una piccola imbarcazione metallica alla deriva. A bordo, 51 persone stipate in pochi metri, provenienti da Guinea Conakry, Costa d’Avorio, Sierra Leone, Mali e Burkina Faso. Erano partiti quattro giorni prima da Sfax, in Tunisia, con la speranza di raggiungere l’Europa. L’avaria al motore e le onde sempre più alte avevano ridotto quel viaggio a una lotta per la sopravvivenza.

I soccorritori di Open Arms, impegnati nella loro 120ª missione, non hanno avuto dubbi: il trasferimento sull’Astral era urgente. Uno a uno, i naufraghi sono stati issati a bordo. Tra loro, 21 minori. Tre erano neonati di appena sei o sette mesi — una bambina e due bambini — stretti tra le braccia delle madri. Altri 18 erano minori non accompagnati, sbarcati senza famiglia, solo con la loro resistenza.

Il quadro medico era preoccupante: disidratazione, vertigini, ipotermia diffusa. Molti presentavano ustioni e irritazioni nella zona inguinale, provocate dalla miscela corrosiva di acqua salata e benzina che si accumula sul fondo di queste barche. Due donne incinte, al quarto e al quinto mese, guardavano il mare con lo sguardo fisso, in silenzio.

Open Arms denuncia un fenomeno in crescita: sempre più partenze dalla Tunisia su mezzi improvvisati e insicuri, spesso in ferro, inadatti alla navigazione. Solo il giorno prima, l’Astral aveva salvato altre 40 persone in circostanze analoghe. 



Fonte
: Silvia Bellucci, Ufficio Stampa Open Arms