In Italia, la speranza di vita continua a crescere, raggiungendo nel 2024 il record di 83,4 anni. Un risultato che potrebbe apparire come un trionfo della medicina, della sanità pubblica e delle politiche sociali. Ma il Rapporto BES 2024 (’ll Benessere Equo e Sostenibile in Italia’) dell’Istat ci restituisce un quadro più complesso e, purtroppo, inquietante: viviamo più a lungo, ma non necessariamente meglio.

La speranza di vita “in buona salute” si ferma a 58,1 anni, con un peggioramento che colpisce in particolare donne e giovani.

Dietro questi numeri si nascondono segnali preoccupanti: crescono obesità e fumo, aumenta la fragilità mentale e solo un italiano su sei consuma frutta e verdura secondo le raccomandazioni nutrizionali. Molti italiani, dunque, trascorrono anni significativi in condizioni di salute compromessa, con limitazioni nelle attività quotidiane e una qualità di vita ridotta.

È in questo contesto che emerge con forza il nodo politico ed economico più delicato: l’innalzamento dell’età pensionabile.

Negli ultimi anni, il dibattito pubblico è stato costellato da decisioni che spingono sempre più avanti il momento in cui si può andare in pensione, confidando che una parte dei cittadini non arrivi mai a riscuotere pienamente i benefici. Un approccio che appare cinico, soprattutto se si considera che a vivere più a lungo sono le generazioni già anziane, non coloro che oggi hanno quaranta, cinquanta o sessant’anni.

I dati Istat evidenziano inoltre le disuguaglianze di genere: a 65 anni, gli uomini possono contare su una vita attesa di 19,8 anni, di cui il 54% senza limitazioni, mentre le donne, pur vivendo più a lungo (22,6 anni), trascorrono meno della metà di questi anni in buona salute (46%). Un paradosso che dovrebbe spingere verso politiche di prevenzione più incisive, capaci di trasformare la quantità di vita in qualità di vita.

Un altro dato allarmante riguarda l’accesso alle cure: nel 2024 il 9,9% della popolazione, circa 5,8 milioni di italiani, ha dichiarato di aver rinunciato a cure mediche per motivi economici. Una cifra che mette in luce l’urgenza di incrementare salari e pensioni, oggi insufficienti a garantire una vita dignitosa anche solo per affrontare le spese quotidiane.

Anche la mortalità evitabile, seppur in miglioramento, rimane significativa: 17,6 decessi ogni 10mila residenti tra 0 e 74 anni, con valori più elevati tra gli uomini. La mortalità infantile, pur in lieve diminuzione, conferma persistenti divari di genere. Tutti segnali che non possono essere ignorati quando si discutono longevità e pensioni.

Il messaggio è chiaro: non basta vivere più a lungo, occorre vivere meglio. Solo politiche pubbliche efficaci per ridurre obesità, fumo, fragilità mentale e per promuovere corretti stili di vita possono giustificare un confronto serio sull’età pensionabile. È necessario riportarla a un limite equo e solidale di 65 anni, non solo per riflettere la longevità media, ma soprattutto per considerare quanti anni in buona salute restano effettivamente da vivere dopo i 65.

Vivere a lungo è un dono, ma sprecarlo in condizioni di salute compromessa è un lusso che né i cittadini né la società possono permettersi. La vera sfida del futuro non è aggiungere anni alla vita, ma vita agli anni. E questo passa anche da un sistema previdenziale più umano, più giusto e più sostenibile, capace di garantire a tutti una vecchiaia serena, dignitosa ed economicamente sostenibile.