La cosiddetta Sindrome di Medea non è una diagnosi clinica riconosciuta nei manuali ufficiali come DSM o ICD, ma è un'espressione usata in psicologia, criminologia e nell’ambito delle separazioni conflittuali per descrivere un comportamento grave: la strumentalizzazione dei figli per colpire, punire o annientare l’altro genitore.
Il nome nasce dalla tragedia greca di Euripide: Medea, tradita da Giasone, uccide i figli per infliggergli il dolore più atroce possibile. Da quel mito nasce la definizione moderna: non sempre si arriva all’estremo, ma il principio è lo stesso. I figli diventano armi.
Origini psicologiche del comportamento
Sebbene non sia una malattia formalmente codificata, la Sindrome di Medea compare più facilmente in persone con:
Tratti narcisistici o borderline
Dipendenza affettiva
Difficoltà nella gestione dell’abbandono o del rifiuto
Forte bisogno di controllo o centralità emotiva
Rabbia non elaborata dopo separazioni o tradimenti
Non è tanto una patologia singola, quanto un pattern relazionale distruttivo attivato da un trauma emotivo, spesso una separazione.
Come si manifesta
La modalità più diffusa è l’alienazione genitoriale: un lavoro sistematico volto a rompere il legame tra il figlio e l’altro genitore.
Le forme più comuni includono
Denigrazione costante dell’altro genitore davanti ai figli
Ostacoli a visite, telefonate o contatti
Manipolazione emotiva (“Se vai da lui non mi vuoi bene”)
Creazione di falsi ricordi o accuse infondate
Vittimismo esibito con lo scopo di isolare l'altro genitore
Uso dei figli come messaggeri o spie
Non è quasi mai un comportamento improvviso: è graduale, calcolato e spesso mascherato da “protezione”.
Conseguenze sui figli
Violenza non è solo schiaffi e lividi. Quando il legame con un genitore viene spezzato intenzionalmente, si crea una ferita identitaria profonda.
Possibili conseguenze
Ansia, depressione, acting out o isolamento
Senso di colpa e confusione affettiva
Difficoltà future nelle relazioni intime
Identità fragile o dipendente
Rabbia cronica verso uno o entrambi i genitori
Un bambino che impara che l’amore è un campo di battaglia cresce con l’idea che il rapporto affettivo sia un luogo di pericolo.
I campanelli d’allarme includono:
Il bambino inizia a usare parole o concetti inadatti alla sua età per parlare dell’altro genitore.
Ogni tentativo di incontro diventa una complicazione.
Il genitore dominante cambia linguaggio: da “nostro figlio” a “mio figlio”.
Il bambino mostra paura o senso di tradimento nell’esprimere affetto verso l’altro genitore.
Quando un figlio sembra “scegliere”, spesso non è scelta: è condizionamento.
Casi italiani recenti
Negli ultimi mesi in Italia alcune vicende hanno riportato l’attenzione sul tema.
Trieste, novembre 2025: una madre uccide il figlio di 9 anni. Indagini parlano di dinamica di vendetta verso l’ex compagno.
Brescia, dicembre 2024: in un caso giudiziario, i figli vengono tolti alla madre perché giudicata alienante e ostacolante nel rapporto con il padre.
Vari tribunali nazionali 2024-2025: è registrato un aumento di casi di conflitto genitoriale estremo durante separazioni con minori coinvolti.
Questi casi, pur diversi, hanno un tratto comune: l’uso dei figli come strumento nelle guerre affettive.
Proteggere significa intervenire presto.
Documentare episodi, ostacoli, comportamenti manipolativi.
Affidarsi a psicologi esperti di dinamiche familiari.
Coinvolgere mediatori familiari e supporto legale qualificato.
Mantenere stabilità emotiva: rispondere con rabbia alimenta la spirale distruttiva.
Chiedere valutazioni psicologiche formali quando necessario.
Il vero obiettivo è uno: ricentrare il bambino come persona, non come trofeo.
La Sindrome di Medea non è un semplice conflitto tra adulti. È una forma di violenza psicologica familiare che può lasciare cicatrici invisibili e profonde.
Il mito ci ha lasciato un ammonimento: quando l’orgoglio e il rancore guidano i sentimenti, i figli diventano vittime.
La società, le istituzioni e i professionisti della salute mentale hanno il compito di interrompere questo schema prima che il danno diventi irreversibile.
Perché un figlio non deve mai essere un’arma.
E un genitore non dovrebbe mai diventare un nemico.


